Letture

Elio Vittorini, Il garofano rosso

Romanzo in prima persona, talvolta sfociante nel diario e talaltra nel romanzo epistolare, ibrido nel genre ed ibrido anche nello stile, talora poetico, talaltra gergale o dialettale. La voglia di uccidere, l'adesione alla rivoluzione fascista inisieme a una feroce smania antiborghese, una ricerca confusa di sesso e purezza, di sottomissione della donna e di sottomissione alla donna, di tenerezza e rabbia e tante altre quasi patologiche contraddizioni conttraddistinguono il passaggio o il tentativo incompiuto di passaggio dall'adolescenza all'età adulta.

8 agosto 2022, Oscar Testoni

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini

Scrittura né semplice, né volutamente e inutilmente complessa, ma adeguatamente e gradevolmente sostenuta, tranne quando la storia, entrata nel vivo, si fa dialogo - quasi sempe indiretto libero - e allora cede allo slang giovanile, al dialetto ferrarese in specie o alle citazioni in milanese del Porta, recitate a memoria da Malnate.
La storia, pur limitata negli eventi, ha tutti gli ingredienti per piacere e affascinare.
Innanzitutto essa è raccontata da un anonimo (mai compare il suo nome) narratore interno, ebreo ferrarese, a ritroso nel tempo: subito compare la dimensione, poeticissima, come ci direbbe Leopardi, del ricordo, condito di nostalgia e rimpianto, per ciò che non è accaduto. Il racconto condotto da un narratore, che non coincide più col protagonista, perché una cesura spazio-temporale (la Ferrara fascista contro la Roma del secondo dopoguerra) ed esistenziale (l'adolescenza e la giovinezza contro la maturità) li separa, gli permette di fare, pur da narratore interno, ciò che in Omero avviene col narratore esterno: anticipare. Un continuo gioco di anticipazioni da parte di chi, avendola già vissuta quella storia, sa di volta in volta come andrà a finire quell'amore, quel quartiere, quel personaggio, quella casa, quella città, invece che fare calare la tensione per avere rivelato di volta in volta cosa sarebbe successo di lì a poco o in prospettiva di molti anni, genera al contrario quella suspense omerica, che porta ad attendere il verificarsi, lo svolgersi, il dipanarsi lento di quanto anticipato.
Inoltre c'è la storia d'amore e d'amore tanto bello quanto infelice o se vogliamo impossibile, idealizzato nella sua irragiungibilità sociale, culturale, morale alla Chrétien De Troyes, un servitium amoris, che trova in sé la propria ragion d'essere, ovviamente stagliato (e qui al poetico si aggiunge il poetico) nella dimensione del ricordo, del rimpianto, della giovinezza, degli autunni e delle primavere. Ciò rende il romanzo, seppur spesso schietto nella scrittura, a tratti poesia in prosa. In fondo non è l'essenza della letteratura come ce l'hanno fatta passare gli autori delle storie letterarie e delle antologie? è mai credibile la felicità in letteratura? Snobbata o al più considerata naif. La sublimazione dell'infelicità in bellezza è, almeno per come l'ha inculcato a noi la tradizione letteraria italiana, l'essenza della letteratura.
Aggiungiamo che è storia di personaggi dentro alla storia nota (almeno si spera che sia nota) delle leggi razziali, delle progressive annessioni di Hitler e Mussolini (Monti Sudeti, Albania, ...), del Patto d'Acciaio, della delegazione anglo-francese presso Stalin, che tanto aveva fatto sperare potesse evitare l'invasione della Polonia e garantire la pace in Europa. E poi la campagna di Russia, Fossoli e le deportazioni in Germania.
Ma è anche storia culturale: Carducci, Eliot, Ungaretti, Montale, ...
... e storia di costume: dal tennis e il tè delle famiglie bene di Ferrara ai .... bordelli. E qui la prima considerazione, un po' sorpresa, su quanto di fronte alla prostituzione vi fosse in questo passato recente una certa accettazione e un permessivismo che annullava le differenze sociali, generazionali e perfino ideologiche: l'unico personaggio che, pur spingendo il protagonista dentro un bordello, è moralista (e uso volutamente e provocatoriamente il termine moralismo, usato oggi ogni qual volta si voglia gettare discredito su questioni etiche) non è l'ebreo, o l'intellettuale, o il borghese, bensì è il comunista Malnate, che considera abbietto lo Stato, lo Stato etico, a organizzare un simile mercato di carne umana. E qui alla sveltina nel postribolo mal si addice l'amore idealizzato e totalizzante per Micol, a meno che nella logica del tempo, la carne delle prostitute non permettesse in definitiva di continuare a rispettare la donna idealizzata della buona società.
Ma la storia è anche geografia urbana e suburbuna, acquarelli di una Ferrara precedente il boom edilizio, con le sue mura, i suoi palazzi i suoi canali e i suoi ponti, una Ferrara che si gira tutta (e velocemente) in bicicletta: il mezzo di locomozione protagonista del romanzo (la carrozza è simbolo di un vecchio passato nobiliare a cui si sono atteggiati i Finzi-Contini e l'automobile è un mezzo avvenieristico di lusso da sfoggiare più che da usare), sicuramente fotografia di un tempo, ma anche di un luogo, che contrariamente alla mia Bologna ha sempre prediletto la bicicletta, che sarà - che ci piaccia o no - il mezzo del futuro. Proprio perché delinea una precisa geografia di Ferrara, viene voglia almeno a me emiliano, ma non ferrarese, non troppo distante, di avventurarmi col libro in mano e in bicicletta, appunto, tra le strade di una Ferrara che si è conservata e di quella che non c'è più, sepolta dal boom economico e demografico del dopoguerra.
C'è un'ultima considerazione che mi viene da fare ascoltando i diloghi dei personaggi di questo libro, dialoghi che fotografano certamente la società che frequentava i licei e quindi la buona società, quella borghese, sia che cerasse di conformarsi in tutto, finanche all'adesione al fascismo, come quella del protagonista, sia che cercasse di differenziarsi socialmente e idealmente come quella dei Finzi-Contini, sia che si atteggiasse a rivoluzionaria, come quella di Malnate. La cultura in generale e quella storica e filosofica e ancor più letteraria dei personaggi è davvero tale che anche il chimico che lavora negli uffici della Montecatini ne possiede di più e con più sensibilità e competenza di quante ne abbia oggi, non dico un medico o un ingegnere, ma persino un docente di lettere di quelli stimati di essere coltissimi dagli altri del nostro tempo (ovviamente visto che ogni tempo misura le eccellenze sulla base del proprio livello). C'è davvero da chiedersi (e ribadisco che i personaggi riflettono la borghesia e non il resto del popolo) quali siano i risultati della scuola di massa pedagogizzata: sicuramente negativi sulla classe borghese e sul piano umanistico. Un laureato in Lettere oggi ha una conoscenza del latino che è meno di un decimo di quella di un ingegnere o un prete o un ornitologo del Primo Novecento, che il latino lo leggeva e lo parlava (e non certo "traduceva versioni" di otto righe in due ore col dizionario). Ma non molto distante andremmo da queste considerazioni sul resto della cultura umanistica. I personaggi pur di studi universitari differenti discutono ordinariamente della poesia del proprio tempo (nonché di arte, di società, politica, ...) con una disinvoltura, un'assimilazione che oggi un ingegnere, un chimico e un laureato in Lettere, pur bravi a scuola e ottimamamete laureati, che si incontrassero a bere birra (invece del tè della domus dei Finzi-Contini) non avrebbero, a meno di andare in circoli molto settoriali e specializzati di letterati. Insomma oggi è straordinario e ipersettoriale, ciò che per l'epoca era patrimonio di qualunque liceale e della classe borghese in genere.

8 agosto 2022, Oscar Testoni

Ernest Hemingway, Il vecchio e il mare

Forse per la poesia costituita dall'amicizia tra un vecchio, con la vita alle spalle e abbandonato dalla fortuna e dal paese, e un ragazzo, che ha invece tutto il futuro davanti a sé, ma è grato a chi gli ha insegnato a pescare (e a vivere?) si è subito catturati nella lettura anche se non succede assolutamente nulla e anche se la grande quantità di termini tecnici marinareschi fa da inciampo alla comprensione dei lettori, che non abbiano o non abbiano avuto una vita marinaresca e da pescatore.
L'autore si è ribellato a ogni interpretazione simbolica del suo romanzo, rivendicando che tutto il racconto è lasciato all'azione: eppure anche nel resto del romanzo, non succede granché. Buona parte è attesa, molto è pensiero o ricordo, fino a sconfinare nello stream of consciousness; l'azione consistente per buona parte del racconto nel lasciare lenza, cambiare spalla su cui lasciarla scorrere, appoggiarsi, rialzarsi, non un granché fino agli attacchi degli squali, ma anche in quei punti la loro attesa e il pensiero di quello che Santiago deve o avrebbe potuto fare e del senso di tutta quella vicenda (e quindi della vita?) ha la maggiore quantità di parole sull'azione in sé.
Una sfida è quella che si instaura tra Santiago, ormai abbandonato dalla fortuna, e il grosso pesce che lo trascina a est, al largo, troppo al largo. Subito si instaura un parallelismo tra quella sua sfida col pesce e l'emergere del ricordo del lungo braccio di ferro con un enorme negro, durato ventiquattro ore e vinto da Santiago, ma significativo è il ricorsivo pensiero dello sport, del baseball e il continuo confronto tra sé e il grande Joe di Maggio (cosa avrebbe fatto Joe Di Maggio al suo posto? ce l'avrebbe fatta anche lui? sarebbe stato fiero di lui? etc.). Una sfida, dunque, che per il pesce è la lotta per la vita, ma per Santiago? Sembrerebbe lo sia anche per lui, visto che erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce, ma alla fine non porta a casa nulla, tranne la "gloria" della vittoria e vincere e uccidere il pesce, nonostante diverse volte il pensiero cada su quanto gli potrebbe fruttare, prende una valenza che va oltre l'aspetto economico di sopravvivenza materiale, diventa l'affermazione del proprio essere ancora uomo, la propria capacità di resistenza nella lotta. Una sfida durante la quale Santiago da una parte stima sempre di più il pesce suo avversario, grande e bello e calmo e nobile, che non perde la testa, lo trascina lontano, resiste a lungo, giunge vicino alla possibilità di vincere e uccidere Santiago, che gli conferisce perfino il diritto di farlo, e lo considera "fratello", ma dall'altra non dubita mai di doverlo uccidere, di dovere uccidere quel suo grande e bello e calmo e nobile fratello.
Rispetto la volontà di Hemingway e non cedo alla tentazione di letture simboliche, ma Santiago stesso associa quella sfida alla vita stessa, ma per stare sul sicuro torno all'interrogativo iniziale tra parentesi. Al termine del racconto il ragazzo, molto preoccupato per il suo vecchio maestro che non dà segno di vita nel suo letto, ma anche fiero di lui, per il trofeo senza carne legato alla sua barca nel porto, decide di andare contro i genitori e di tornare a pescare col suo vecchio maestro, con colui che gli ha insegnato a pescare. Gli ha insenato a pescare o a vivere? Lasciamo perdere se la pesca sia o non sia metafora della vita e Santiago stesso ci suggerisce che per lui lo è, ma insegnare in quanto tale, qualunque materia si insegni, non è sempre insegnare a vivere? non è sempre comunicare se stessi, il proprio modo di essere e di fare? Santiago è per il ragazzo il libro della vita, ricco di esperienza, che si era preso cura di lui e di cui ora decide di prendersi cura, perché bisognoso di aiuto e di forze giovani.
Ovviamente durante la lettura il vecchio, il cui volto inizialmente andava delineandosi sotto la guida dello scrittore, man mano che procedeva la storia e riemergevano antichi ricordi in bianco e nero (a lungo è stata la mia visione dei vecchi film fino ai miei 15 anni), ha finito col coincidere con quello di Spencer Tracy.

18 luglio 2022, Oscar Testoni

Letture

- ripescando dal pozzo -
Markus Zusak, Storia di una ladra di libri

Finito di leggere il 24 luglio 2015, ricordo che rispetto alla storia in sé, che avevo già apprezzato nell'affascinante film di Brian Percival ispirato al libro, la scrittura barocca dell'autore mi aveva deluso e via via durante la lettura sempre più infastidito. Purtroppo all'epoca non usavo sottolineare, annotare sul libro e di più non mi è possibile ora dire, né intendo rileggerlo, mentre, se capitasse in una sera in cui sono troppo stanco per fare qualcosa, riguarderei volentieri il film.

18 luglio 2022, Oscar Testoni

- ripescando dal pozzo -
Paolo Giordano, La solitudine dei numei primi

Mi fu regalato da mia moglie per il compleanno, lo lessi in vacanza ad Arabba nell'agosto del 2009, non mi piacque la storia, non mi piacque la scrittura. Comunque lo finii. Lo lesse allora mia moglie che me lo aveva regalato e rimase anche lei delusa. Oltre a questo mi è difficile dire di più: a tredici anni dalla sua lettura non mi sono rimasti molti ricordi a parte un incidente iniziale sugli sci, né all'epoca usavo fare annotazioni sui libri a cui potrei ora agganciarmi, né intendo rileggerlo.

18 luglio 2022, Oscar Testoni

Lev Tolstoj, Anna Karenina

È arrivato il momento di avere il coraggio di dire qualcosa a proposito di questo grandissimo romanzo. L'ho letto nell'ottima traduzione (pochi errori di italiano, ma straordinaria la fluidità di lettura) di Claudia Zonghetti, vincendo la mia storica repulsione per la proprietà delle case editrici Arnoldo Mondadori e Luigi Einaudi: libro torturato da sottolineature, appunti, commenti, riassunti ai margini, tutti segni del miserevole tentativo di trattenere, fermare, ricordare, lasciare indici per permettermi di recuperare, a lettura terminata, quel passo, quella caratterizzazione, quella situazione in cui mi sono riconosciuto, quella riflessione, quelle parole, che migliori non si potevano trovare. Romanzo lungo per procastinare l'angoscia che nasce nel terminarlo.
Il narratore è onnisciente, ma per lo più sceglie di volta in volta attraverso quale personaggio farci vivere quella o quell'altra porzione di storia (focalizzazione variabile). Riassumerlo, sebbene un riassunto sia stato da me iniziato e forse prima o poi comparirà tra le pagine di questo sito, non rende lontanamente l'idea della capacità di Tolstoj di penetrare e illuminare la verità degli uomini (inteso alla latina senza distinzione di genere).
Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ognuna a suo modo è il celebre felice inizio che ci porta in casa Oblonskij sul punto del divorzio per un suo tradimento con l'istitutrice francese. Oblonskij è un simpatico fanfarone liberale infedele e scialacquatore che rende povera e infelice la poco avvenente moglie, la principessa Dolly, relegata in campagna a fare la madre dei figli frutto delle paci. Ma grande spazio è riservato al suo amico Levin e alla sua onesta ricerca di verità su tutti i fronti: dal piano delle relazioni interpersonali (che lui vorrebbe sincere e basate sull'essenziale) all'economia, dalla politica al senso della vita, felice finalmente, giunto a conversione, con la sua bella e dolce moglie Kitty, a sua volta personaggio in crescita dalla visibilità sociale, fresca bella perfetta buona principessina in procinto di fidanzarsi col bel Vronskji davanti a una platea che se la ruba con gli occhi, alla sua malattia psicosomatica, alla vocazione religiosa, che l'autore non prende troppo sul serio, all'amore concreto con Levin e alla maternità. è Levin il vero protagonista? è lui che con la sua ricerca sincera rappresenta la ricerca dell'autore? è lui quello che con la sua onestà spiazzante raggiunge, non senza fatica, non senza registrare continuamete i propri limiti, non senza che la verità dell'autore non faccia luce sulle sue ombre, una felicità concreta e possibile? Protagonista formale del romanzo è l'affascinante Anna, che, scoperta la passione per Vrosnkji, più cerca la libertà e più si inviluppa in una spirale di impossibilità di vita in una tragedia annunciata che, pur dando il titolo, non percorre tutto il libro, perché il romanzo inizia prima della sua comparsa ammaliatrice sulla scena e si conclude nella parte settima (il romanzo è diviso in otto parti, ciascuna delle quali è divisa in capitoli), lasciando la vita continuare anche dopo la sua scomparsa. Un personaggio intrigante, il cui sguardo penetra nelle persone che incontra e apre, a mano a mano sempre più consapevole della sua capacità di fare innamorare, che usa e abusa quasi "mirandolianamente" ma anche sempre più mortalmente infelice e in questo ancora più affascinante, incapace di vivere a pieno la sua passione tanto quanto di tornare alla sua precedente "felicità", da lei reputata ormai infelicità. L'autore l'ha voluta salvare sul punto di morte col suo pentimento prima che qualcosa la colpisse e la trascinasse. Non odiate il povero Karenin, così onesto, così importante per la Russia e così antipatico, quando viene visto con gli occhi dell'eroina tragica, ma anche così buono fino al crollo della sua brillante carriera politica proprio a causa di Anna, fino al ridicolo, quando si converte a un perdono, a una carità cristiana totale e a un'ospitalita disarmante verso la moglie fedifraga e madre di un bambino non suo e infine così manipolabile con quella sua amica contessa e il suo santone. Anche Vronskji conosce la sua trasformazione: la sua ambizione, la sua bellezza, la sua libertà, la sua disinvoltura in società e con le donne ma infine maschera di dolore, a causa di un amore tanto forte quanto impossibile: lei muore biologicamente, lui muore dentro e parte per la guerra per cercare eroicamente la pace della morte biologica. Il principe e la principessa, i fratelli di Levin, le donne dei salotti di Pietroburgo, i commilitoni di Vronskji, i politici, i luminari e tanti altri sono i personaggi che dipingono tutte le sfaccettature della verità umana, che Tolstoji sa sondare come pochi.
Un libro da leggere e rileggere, ma in una buona traduzione come qualla di Zonghetti, anche se mi secca terribilmnete fare pubblicità e drenare soldi nelle aziende del protagonista della Terza Repubblica, tragedia culturale, sociale e politica d'Italia.

13 luglio 2022, Oscar Testoni

Letture

- ripescando dal pozzo -
Tracy Chevalier, La ragazza con l'orecchino di perla
Tracy Chevalier, La vergine azzura
Tracy Chevalier, Quando cadono gli angeli
Tracy Chevalier, La dama e l'unicorno

Lessi La ragazza con l'orecchino di perla nel dicembre 2009, con una interruzione, perché mia moglie, solitamente poco attiva nella lettura, ne fu attratta, me lo rubò e dovetti attendere la sua restituzione, in un periodo piuttosto intenso e bulimico di studio e letture tra il leggero (i gialli della Comastri) e l'impegnato (soprattutto classici). Il romanzo mi piacque molto: un'ottima e suggestiva ricostruzione dell'ambientazione storica, il fascino di unire un'epoca storica passata in sé poetica, come ci insegna Leopardi, perché distante nel tempo, con un'età in sé poetica, quella dell'adolescenza, di mescolare l'arte della parola (il romanzo) con quella della pittura (oggetto del racconto), giungendo eziologicamente a ricostruire con la fantasia la storia che sta dietro a un quadro in sé affascinante. La storia è pervasa di sensualità, che certo aggiunge suggestione e interesse al racconto, ma in questo romanzo ancora delicata, senza concessioni a eccessi di prurito. Il fascino scaturito da questo primo romanzo da me letto della Chevalier, mi ha spinto a leggere gli altri tre, nonostante già il secondo ("La vergine azzurra", letto nel luglio 2012) mi aveva deluso: a stento ne ricordo la storia. Il terzo (Quando cadono gli angeli letto forse - da alcune annotazioni non esaustive sul frontespizio - il 2, il 6 e il 13 marzo, credo dell'anno 2013), a parte un po' il fascino della ricostruzione storica, assente nel precedente, non solo continuò a deludermi, ma di esso mi infastidì anche la narrazione interna variabile, con la continua ripresa della stessa narrazione da un'altra angolazione. In entrambi i romanzi l'autrice ha giocato in modo più scoperto col tema della sensualità-sessualità, che ha un più facile pubblico. Ciononstante nel periodo natalizio del 2014/2015, pur guarito dalla chevalierite iniziale e non avendo più grandi aspettative, lessi anche La dama e l'unicorno, ultima concessione all'autrice, ma in fondo desiderio di rivivere il fascino dell'unico mio viaggio all'estero di piacere, l'anno precedente, a Parigi. Intendiamoci, una ricostruzione storica mi interessa sempre, ma, come trovo scritto a matita a modo di appunto sul pre-fronetspiszio, a parte la collocazione nella Parigi del XV secolo, il racconto è banale, il prurito sessulae, su cui la Cevalier sembra giocare nei suoi romanzi per una facile riuscita, è talvolta volgare, improbabili molte delle situazioni, come quella della quattordicenne che comincia a sedurre il pittore da sotto il tavolo, mentre questi sullo stesso sta trattando la commissione proprio col padre della ragazza e il mercante (qui non si capisce se si tratta di un racconto storico, erotico o comico). La narrazione interna mutevole usata anche in Quando cadono gli angeli, non mi piace anche se pare piacere molto all'autrice. Si parla sempre di grazia e di tocco, ma ciò che avevo intravisto o che mi aveva affascinato ne La ragazza con l'orecchino di perla non lo trovo più, o almeno non l'ho trovato negli altri tre suoi romanzi da me letti.
E in quel Natale 2014/15 si è concluso definitivamente ogni strascico della mia chevalierite.

12 luglio 2022, Oscar Testoni

- ripescando dal pozzo -
Paola Mastrocola, Più lontana della luna

Letto, come recita l'appunto sulla prima pagina bianca l'ultima settimana di febbraio 2012, probabilmente in corriera da e per Imola, ricordo vagamente la strana storia della protagonista. Ricordo, che pur finendo di leggerlo velocemente, grazie comunque alla gradevolezza della scrittura della Mastrocola, mi deluse rispetto alle aspettative. Ricordo anche che avevo diverse considerazioni, ma non ricordo quali: purtroppo il libro, rimasto bianchissimo, a parte quella annotazione iniziale a biro sul tempo in cui lo lessi, non mi offre appigli con qualche appunto a matita o qualche sottolineatura.

12 luglio 2022, Oscar Testoni

Marcel Proust, Sulla lettura o Il piacere della lettura

Non ci sono forse giorni della nostra infanzia vissuti più pienamente di quelli che abbiamo creduto di aver lasciato senza viverli, quelli trascorsi insieme a un libro prediletto.
Questo è il felice inizio di una felice pagina, riportata normalmente sui libri di antologia scolastica come invito alla lettura, a cui però purtroppo, a mio avviso, non segue un felice scritto. Alle pagine iniziali sui ricordi d'infanzia (e sappiamo che Proust è maestro nel costruire la suggestione del riemergere del passato) che già dopo le prime tendono un po' a compiacersi di caricarsi di aspetti esornativi che anzicché aggiungere suggestione al ricordo, stancano caricando la sintassi di una complessità inutile e distraente, costringendo il lettore a riprendere talvolta il filo della principale, seguono altre il cui ragionamento si perde in un compiaciuto esercizio di scrittura tendente al barocco. Dal mio punto di vista non il Proust migliore e francamete pagine che ho terminato di leggere più per una sorta di etica intelletuale che per piacere. Un testo che non rileggerò.
Nell'edizione Feltrinelli, da cui ho tratto la citazione iniziale nella traduzione di Donata Feroldi, si aggiunge anche un articolo di Proust del 20 marzo 1907 per Le Figaro, poco attinente al tema, a dire il vero poco attinente a qualunque cosa, visto che l'autore stesso ammette di essersi perso nello scivere: vi compare ancora questo autocompiacimento di parlare di qualsiasi cosa mostrando abilità, cultura e una tendenza ingiustificata alla complicazione. Sia chiaro: apprezzo la complicazione, come nella celeberrima pagina sulla madeleine, quando essa serve ad esaminare qualcosa di profondo e a prendere per mano il lettore alla sua scoperta. L'apprezzo poco, quando è fine a se stessa, quando serve a coprire la poca sostanza.

12 luglio 2022, Oscar Testoni

Natalia Levi in Ginzburg, Lessico famigliare

Perdonate la mia lunga assenza in questa sezione del sito, altre e soprattutto altro hanno richiesto tanto lavoro.
Il lessico e la sintassi colloquiale delle frasi dei protagonisti, realisticamente registrate, si estende anche alla prosa del narratore con licenze grammaticali e sintattiche in particolare che se da una parte esaltano l'andamento colloquiale di tutto il romanzo, dall'altra fa fremere la mano destra verso l'appunto correttivo sulla carta su cui sono stese le parole dell'autrice.
Premesso questo, la storia famigliare che, come recitano tutti i riassunti, si intreccia con quella dell'Italia che diviene fascista, con la lotta partigiana e con l'Italia del dopoguerra, anziché dipanarsi cronologicamente si snoda sul filo dei ricordi che ha come principale conduttore proprio il lessico e talvolta l'associazione tra i personaggi o argomenti tematici come la montagna, la sartoria ecc.
La storia politica, economica e culturale italiana (da Turati nascosto in casa Levi fino al suicidio di Pavese, passando per le stramberie di Olivetti) viene civettamente lasciata sullo sfondo, emerge in aneddoti a volte infantili, a volte in particolari marginali, ma tali da disegnarci un intreccio che forma un tessuto di relazioni, che passano per la casa o a contatto con la famiglia dell'autrice, ... un tessuto in cui tanti fili noti si intrecciano con altri meno noti o del tutto sconosciuti, ma non meno importanti, visto che senza di loro, anche la storia dei nomi noti sarebbe stata diversa ... o si sarebbe interrota bruscamente.
Al lettore nel leggere il romanzo oltre ad aprirsi davanti agli occhi con semplicità e poesia il mondo che riaffiora alla memoria dell'autrice seguendo il filo principale del lessico o di altri fili che si dipanano da quello, con associazioni analogiche, tanto naturali da renderlo pronto a perdonare l'assenza di una logica narrativa, chiara e strutturata, emerge quasi automaticamente anche il proprio: in fondo l'idea che spesso i ricordi famigliari emergano attraverso le frasi che le persone della propria vita avrebbero detto in quello o in quell'altro contesto è più che constatabile. Così come Forrest Gump seduto sulla panchina inizia i discorsi con "Mia mamma diceva sempre ...", anche a noi capita di rivolgere da padri o madri frasi che ci furono rivolte quando eravamo figli e di sorridere lievemente in una smorfia di autoirnia da una parte e di affetto per chi non c'è più dall'altra, oppure trovarsi a rammentare cosa avrebbe detto quello o quell'altro di famiglia in quelle medesime circostanze, se fossero ancora vivi e presenti.

13 luglio 2021, Oscar Testoni

Jane Austen, Evelyn

Questo acerbo, breve, incompiuto scritto giovanile della Austen, continuato da James Edward Austen e concluso da Anna Lefroy mostra un'autrice dissacrante e antifrastica fino al non senso. Siamo ben lontani dai suoi maturi ed equilibrati capolavori, in cui l'analisi della società procede con un umorismo così sottile, da poter essere scambiato - a un'ingenua lettura - per autentica espressione di sentimenti o da poter essere fatta passare dalla cinematografia attuale come narrazione romantica, eppure anche questa lettura, seppur lontana dalla piacevolezza dell'Austen matura, mi è servita a vaccinarmi contro le trappole interpretative che possono nascondersi nell'Austen matura.
Casualmente mi sono imbattuto in questo scritto, che mi ha fatto tornare, dopo una lunga pausa, a questa autrice, di cui avevo già letto cinque romanzi: Pride and prejudice, Sense and sensibility, Emma, Persuasion, Lady susan.

31 luglio 2019, Oscar Testoni

Gilbert Keith Chesterton, The Secret Garden - Il giardino segreto

Immeritatamente dimenticato nel panorama culturale italiano, Chesterton è tra l'altro l'inventore del personaggio Padre Brown, logico prete detective, a cui la BBC ha recentemente dedicato una serie TV (dal 2013), in cui il protagonista è interpretato da Mark Williams.
In questo veloce e felice racconto giallo, di cui non svelo l'identità dell'assassino, l'autore tramite il suo prete investigatore denuncia il fanatismo folle antireligioso.
Ossimori (for some unreasonable reason in questo caso con figura etimologica, thunderous whisper) e umorismo (in this case [...] it was not true that two heads were better than one: si tratta infatti della scoperta di una seconda testa decapitata; - Well, doctor - said the priest, looking up blinking - can a man cut off his own head? I don't know -) sono presenti, pur nella brevità, anche qui.

30 luglio 2019, Oscar Testoni

Niccolò Ammaniti, Io non ho paura

Altro romanzo letto, perché costretto dai colleghi.
Una brutta storia vede variamente coinvolti tutti gli abitanti di una piccolissima frazione immersa nella calura soffocante di una assolata campagna dove regnano il grano e i rumori degli animali, le cicale sopra tutti: il sequestro di Filippo, un biondo bambino di una ricca famiglia di Pavia. La storia è sul piano narrativo felicemente raccontata con gli occhi di un coetaneo del bambino sequestrato (Michele, narratore interno), che per una punizione dettata dal bullo del paese (il Teschio), durante una scorribanda condotta secondo le dure leggi del cortile, lo scopre in fondo a un buco di una casa abbandonata e alla fine lo salva, o almeno così sembra, da una morte ormai decretata.
La vita di questi bambini nella soleggiata campagna di un indeterminato sud riverbera le mie primitive esperienze, nonostante sia cresciuto in una città del nord, in quella periferia, oggi residenziale, ma che tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta del secolo (e millennio) scorso confinava con i campi di grano, permettendomi di passare l'infanzia tra giardini condominiali intoccabili, strade senza uscita poco frequentate, campi di grano e alberi di cachi, un torrente, grilli, lucciole, lucertole, ragni giganti, girini, rospi, ragazzi più grandi che dettavano legge e coetanei o più piccoli che li asservivano per accattivarsi la benevolenza del capo di turno, dove solo apparentemente le leggi del cortile eliminavano le differenze sociali, che c'erano eccome.
Tornando al libro, ai mostri coetanei e ai mostri adulti, che tengono recluso in condizioni disumane Filippo e sono disposti a ucciderlo, fallito l'accordo per il riscatto, si uniscono i mostri interni: quelli degli incubi infantili e quelli in cui il protagonista trasforma con la sua ricca fantasia i molti rumori della notte, tutto ciò che non vede, che non sa o che non capisce. Sconfiggere quei mostri interiori per liberare Filippo, condannato a morte, fa parte del cammino di crescita di Michele, che deve anche fare i conti con l'ambivalenza del suo atteggiamento nei confronti di quegli adulti a cui continua affettivamente ad affidarsi, nonostante li sappia confusamente coinvolti in qualcosa di mostruoso.
Purtroppo, pur riconoscendo la felicità della narrazione, continua a lasciarmi perplesso e a disturbarmi l'italiano di Ammaniti. è appropriato e persino felice che i personaggi parlino realisticamente secondo il loro stato sociale e la loro età. Più controverso è che ogni tanto parli così anche il narratore: se si trattasse di un narratore verista in terza persona, si potrebbe pensare alla narrazione corale verghiana, in cui il narratore scompare e lascia che sia il paese stesso a raccontarsi con la sua lingua. Posso capire che l'idea dell'autore sia di far parlare al narratore interno il suo proprio linguaggio, visto che si tratta di un bambino di nove anni di uno sperduto gruppo di case di campagna del sud, ma allora mi sarei aspettato una maggiore innovazione linguistica in questo senso. Se è questa l'idea, essa è portata avanti senza coerenza, con una occasionalità irregolare che mi fa pensare che si tratti invece della sintassi insicura dell'autore.

25 luglio 2019, Oscar Testoni

Niccolò Ammaniti, Io e te

A me non doveva fregarmene niente (pag. 33), Non mi pare che quel vestito fa vedere troppo (pag.46), Mamma ci (nel senso di "a lei") voleva parlare (pag.56)e diverse altre simili frasi, che non riporto perché scusabili in quanto inseriti in discorsi diretti di giovani. Certo si può sempre pensare che il realismo intacchi anche il modo di parlare di adulti dell'alta società romana (citazione 2): in fondo cos'è questo sconosciuto del congiuntivo. La prima e la terza sono invece del narratore, che in quanto interno, finisce col coincidere con uno dei personaggi e quindi ne può assumere - perché no - il linguaggio.
Ho letto questo testo, perché proposto come libro di lettura nelle future prime liceali, prevalendo l'idea che quei ragazzi non siano in grado di leggere un romanzo (troppo lungo, linguaggio troppo difficile) e così lo spirito di adattamento degli insegnanti ricorre a testi corti e con lo stesso linguaggio dei ragazzi e dalla trama semplice, accattivante e vicina alla loro vita. Il problema però rimane: si fa leggere con l'obiettivo di elevare i ragazzi sul piano linguistico, su quello delle strutture narrative e su quello tematico e concettuale, però poi se si propongono testi dal linguaggio simile al loro, in cosa li si educa a un linguaggio altro e più corretto? Se si propongono testi narrativamente semplici, come si può portare loro verso i grandi romanzi? Se non si propone loro altre tematiche, come usciranno mai dai loro già noti e triti pensieri? Non c'è poi così tanto tempo, se ancora in prima superiore ci si pone il problema di semplificare le letture e se la voglia delle forze politiche è quella di accorciare gli anni del liceo a quattro. Inoltre in cosa questa storia sia davvero più vicina a loro o più accattivante, rispetto a tanti altri romanzi?
Premesso tutto questo, non voglio svilire né il linguaggio, che contiene comunque anche alcune pennellate poetiche, né la storia, che nella sua semplicità e rapidità non è comunque banale ed è capace di contenere vari aspetti di umanità.
La trama? Beh! Come ne Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (romanzo che non ho avuto voglia di finire di leggere) il protagonista è strano dal punto di vista caratteriale, anche se il pre-finale apre verso una guarigione. Finge di apparire normale, anche se la cosa lo costringe a utilizzare molte energie affettive e lo stanca. In particolare cerca di soddisfare il desiderio materno che lo vuole inserito e ricercato dai coetanei. Per questo finge di essere stato invitato a una settimana bianca nella casa di Cortina di Alessia la compagna più bella della scuola, insieme al gruppetto più esclusivo della classe. La notizia rende talmente eccitata la madre, che in seguito non ha più il coraggio di rivelarle che è solo un'invenzione. Così si organizza in modo da sopravvivere una settimana in un'ampia cantina, ripostiglio dove sono accumulate le anticaglie della precente proprietaria (una contessa). Tutto va bene finché non compare Olivia, figlia di un precedente matrimonio del padre, che lo ricatta per farsi ospitare, finché non le passino le crisi d'astinenza da droga. D'apprima arrabbiato, poi spaventato il giovane protagonista aiuta la sorella, come già, molto più consapevolmente Tamar aiuta il fratello Shay in Qualcuno con cui correre di Grossman. Il pre-finale è positivo: Lorenzo, il protagonista, si scioglie, Olivia promette di non drogarsi più e i due fratelli si avvicinano. Il finale no. Lorenzo rivede la sorella dieci anni dopo per il riconoscimento di rito all'obitorio, stroncata da una overdose.
In definitiva il testo si legge bene e alla fine lascia pure un sapore complessivamente gradevole.

9 luglio 2019, Oscar Testoni

Robert Louis Stevenson, Il dottor Jekyll e Mr. Hyde

È sicuramente un giallo sapientemente orchestrato, in cui l'approssimarsi alla verità del Dr. Jekyll, il protagonista, su cui è posta la focalizzazione, rimane sempre distante fino alla rivelazione finale dello stesso, una volta morto, tramite lettera. Molti dei singoli indizi, anche se oggi ne conosciamo il finale prima di averlo letto per inquinamento culturale, si chiariscono solo alla luce della lettura di quella lettera in chiusura del romanzo da parte di Mr. Utterson, l'amico del protagonista
È anche un racconto gotico, per le atmosfere di mistero tra i giochi di nebbia, di luna e di squarci di sole di una Londra dal meteo volubile, per gli interni, per le condizioni psicologiche dei personaggi che riflettono su di sé lo sconcerto degli eventi e soprattutto dell'incontro col personaggio maledetto Mr. Hyde (per quasi tutto il romanzo considerato un personaggio autonomo) e infine per alcune situazioni - come quelle che precedono e seguono l'abbattimento della porta - di suspense e paura. Da questo punto di vista Stevenson ricorda pagine del predecessore Edgar Allan Poe.
È anche uno scritto che pone o ripropone sotto una luce nuova il problema morale: il bene e il male rimangono tali, semmai si sonda la presenza di un lato ombra compresente con quello più presentabile in ciascuna persona. Da questo punto di vista il romanzo non è affatto, come talvolta soprattutto in internet si spaccia, un testo "antimoralista": l'hybris scientifica del Dr. Jekyll viene infine condannata dallo stesso Dr. Jekyll, dopo che già lo aveva fatto il Dr. Lanyon (che potrebbe raffigurare il volto della vecchia scienza e del moralismo, ma che alla fine viene implicitamente riscattato dalla confessione di fallimento dello stesso Dr. Jekyll, suo amico, ma anche nemico sul piano della disputa scientifica). Né, come ho visto in internet, il povero Mr. Utterson diviene il campione di questo moralismo perbenista della società vittoriana, contro cui Stevenson si scaglierebbe. Borghese, perbene, quasi sempre molto professionale, senza granché di cui vergognarsi nel suo passato, abitudinario, perfino noioso, nonché avvocato, ma anche amico fino in fondo, che accetta di apparire inopportuno, perfino disposto a rischiare in prima persona e ad andare - lui così ligio verso la legalità - contro al legge, pur di aiutare l'amico. Ce ne fossero dei "moralisti" così in questa vita: è il noioso amico cui non ci rivolgeremmo di preferenza quando vogliamo divertirici, ma quello che siamo ben contenti di avere vicino quando ne abbiamo bisogno. Non solo ma viene proprio presentato dallo stesso narratore come austero con se stesso, ma tollerante verso il prossimo. Direi che scagliarsi contro di lui è cercare un nemico a tutti i costi. Giustamente notava Barbara Lanati su "Il Manifesto" nel 1986 che il vero antagonista del romanzo è nella stessa persona del protagonista. Ma certo lo sdoppiamento del protagonista ci ricorda che l'uomo non è univoco: ciò non invita il lettore a ritenere la morale un inutile involucro esteriore e ipocrita da superare, bensì lo avverte che non può non avere a che fare con quel lato oscuro che ognuno di noi ha dentro di sé. E' sotto questo aspetto che il problema morale va riconsiderato, non per non ritenere abbietta la vita di Mr. Hyde o le sue scelleraggini, non per diminuire la gravità dell'uccisione di Mr. Carew, ma per avvertire che nessuno di noi può esimersi dal fare i conti con la parte meno presentabile di noi stessi, proprio per evitare l'errore del Dr. Jekyll.
È duque sicuramente un racconto psicologico, non solo e non tanto per l'attenzione alla psicologia dei personaggi, ma soprattutto perché tutto il racconto, come giustamente ci invita a fare Mario Trevi, nell'introduzione dell'edizione Feltrinelli, è un'anticipazione della metafora junghiana dell'ombra: ecco allora come quella che nel romanzo appare come un peccato di hybris scientifica, diventa invece in chiave junghiana un grosso errore psicanalitico: la propria ombra non deve essere resa autonoma da se stessi, pena la catastrofe a cui va incontro il protagonita. Con essa bisogna entrare in un dialogo che preveda l'agnizione, l'integrazione e la bonifica. Non tenere conto di questa ombra, bloccarne la forza vitale, o lasciarle uno spazio autonomo dall'io e che prenda il sopravvento sull'io sono tutti errori da evitare. La salute mentale, nonché l'istanza morale si possono salvare proprio grazie a questo dialogo.

Può essere didatticamente utile questo riassunto per capitoli:
- 1. Storia della porta. Mr. Utterson, avvocato, austero con se stesso e tollerante con il prossimo, amico di chi la vita gli pone di fianco, a cui si affezziona col passare del tempo, usa passeggiare col cugino Mr. Richard Enfield, talvolta anche senza che si parlino. Proprio durante una di queste passeggiate trovandosi davanti a una porta, Mr. Enfield racconta il raccapricciante incontro avuto con l'inquietante Mr. Hyde (mai realmente descritto, ma sempre percepito come moralmente depravato da tutti i personaggi che abbiano avuto anche solo occasionalmente a che fare con lui). Anche Mr. Utterson conosce quel nome, perché lo riguarda personalmente.
- 2. In cerca di Mr. Hyde. La scena si apre nella solitaria casa dello scapolo Mr. Utterson che apre la cassaforte ed estrae il Testamento del Dr. Jekyll, che stabilisce come suo unico erede l'amico e benefattore Edward Hyde. Poi esce e si reca dal comune amico Dr. Lanyon, che da tempo ha diradato i suoi rapporti con l'amico e collega Dr. Jekyll a causa di dissaccordi scientifici e che comunque non ha mai sentito parlare di Mr. Hyde. Tornato a casa, Mr. Utterson passa la notte tra interrogativi inquietanti e brevi incubi in cui l'uomo terribile, ma sempre senza volto, compare in diverse situazioni. Al risveglio decide di dare un volto a Mr. Hyde e dopo vari passaggi, a orari diversi davanti alla porta di cui ha raccontato Mr. Enfield, lo incontra e prova la stessa sinistra impressione di tutti. Decide allora di andare a trovare il vecchio amico Dr. Jekyll, ma non lo trova. Parla allora con Poole, il maggiordomo, da cui scopre che la servitù ha ricevuto ordini precisi in merito a Mr. Hyde. Mr. Utterson è sempre più convinto che Mr. Hyde ricatti il Dr. Jekyll per qualche peccato di gioventù
- 3. Il Dr. Jekyll era del tutto tranquillo. Il Dr. Jekyll invita i suoi vecchi amici a cena. Mr. Utterson cerca di rimanere l'ultimo ad andarsene per cercare di capire se dietro al testamento vi sia una qualche forma di ricatto, ma, nonostante la sua insistenza, viene invitato da Jekyll a non intromettersi, anzi gli viene persino strappata la promessa di difendere i diritti di Mr. Hyde.
- 4. Il delitto Carew. Una domestica vede dalla finestra Mr. Hyde massacrare a bastonate un gentile vecchio all'antica Sir Danvers Carew, membro del paarlamento e cliente di Mr. Utterson. Il bastone è quello che Mr Utterson molti anni prima ha regalto a Mr. Hyde
- 5. L'inciente della lettera.Il Dr. Jekyll giura davanti a Dio in presenza di Mr. Utterson che non rivedrà mai più Mr. Hyde e consegna allamico avvocato una lettera di pugno di Edward Hyde in cui si dichiara che il suo benefattore Dr. Jeckyll non si deve preoccupare della sua salvezza perché aveva via di scampo su cui poteva contare. Mr Utterson, saputo dal Poole che nessuna lettera era stata recapitata a mano, comprese che doveva essere stata scritta nel laboratorio stesso del Dr Jekyll, così chiese la consulenza diel grafologo Mr. Guest, dalla quale trasse come conclusione che Henry Jekyll avrebbe falsificato un documento per conto di Mr. Hyde.
- 6. L'incidente straordinario del Dottor Lanyon
- 7. L'incidente della finestra. Mr. Utterson e Mr. Enfield incontrano Dr. Jeckyll alla finestra
- 8. L'ultima notte Pole va da Mr. Utterson. Pole ha paura. Il Dr. Jakyll si è chiuso a chiave nel suo studio e Pole teme ci sia stato un delitto. Mr. Utterson va a casa del Dr. Jekyll.
- 9. Il racconto del Dr. Lanyon.
- 10. La confessione di Henry Jekyll.

Marzo 2019, Oscar Testoni

Mario Tobino, Biondo era e bello

... aggrumare in pochi versi tutta una storia, [...] far indovinare nella musica di poche sillabe una complicata vicenda.

Pur tra gli errori (cronologici ad esempio: Cavalcanti aveva ben 15 anni più di Dante e non solo quattro di più), le sottostime (non era affatto cosa poco grave per l'epoca l'usura) e le esagerazioni (come la lussuria di Dante), questa personalissima e innamorata biografia di Dante è scritta con una prosa prossima alla poesia.
Gi obiettivi principali dell'autore sono senz'altro quello di mostrare la violenza dei tempi di Dante e quello di sottolineare l'arte dantesca di raccogliere dalle strade di Firenze il linguaggio vivo per trasformarlo nella lingua nazionale e il procedere dantesco dall'analisi alla sintesi: Dante dapprima studia, medita, pondera, si impadronisce di ogni particolare come uno scienziato, con la massima esattezza, e poi, quando la poesia batte le ali, allora scoccano le insostituibili parole, ecco il volgare che si tramuta in una lingua insieme fresca e antica, una lingua capace di scolpire ed essere melodiosa, narrare il freddo del Nord e il profumo d'Oriente

Può essere didatticamente utile questo indice di riferimento (per quando s'incontreranno tali personaggi) nella lettura dantesca (i riferimenti sono nell'edizione Mondadori del 2016):
- Gherardesca, figlia del Conte Ugolino - pag. 103-104. 109
- Manentessa, figlia di Buonconte da Montefeltro, capo degli Aretini nella battaglia di Campaldino, morto solo ferito alla gola e scomparso - pag.105
- Figlia di Paolo Malatesta, amante di Francesca - pag. 106
- Novello da Polenta, nipote di Francesca - pag. 151
(Figlia di Federico II e sorella di Manfredi - pag. 106)
- Martin Bottaro, magistrato di Lucca - pag. 108-109
- Arrigo VII (il veltro?) - pag. 116 e seguenti
- Piccarda Donati - pag. 149
Interessante anche la pagina del vecchio Dante col bambino Petrarca (pag.151)

5 gennaio 2019, Oscar Testoni

Luciano De Crescenzo, Così parlò Bellavista

Nessuno è libero, ma nessuno è solo ...
La produttività può essere fatale come l'ignavia!

La filosofia di Napoli, tra chiari e scuri, raccontata da Luciano De Crescenzo. Un altro di quei libri letto un po' forzatamente dietro a un prestito non richiesto ("Devi leggerlo!"), iniziato diverse volte senza convinzione, ma alla fine, quando il prestito ormai si stava prolungando oltre i limiti della decenza, dopo essermi fatto violenza per i primi capitoli, entrato nella logica e nel pathos del libro, letto con piacere.

estate 2018, Oscar Testoni

Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere

Il titolo è felicissimo, capace come pochi di suscitare interesse per il contenuto del libro. La scrittura è indubbiamente abile, capace, ma dopo le prime 60/65 pagine ho incominciato a sentire la pesantezza del leggere: il sole, l'erba, l'albero sotto la cui ombra ero, le cicale, Urbino che prendeva il sole adagiata sulla sua collina mi sono apparsi più interessanti del libro. Perché? Eppure è uno scrittore colto, capace, la narrazione è efficace e si mescola con la storia del Novecento: la primavera di Praga e la successiva repressione sovietica. Ho continuato ovviamente.
A Kundera piacciono molto le frasi a effetto, che nella loro efficacia danno al lettore il senso di lapidarie verità. Si compiace anche molto dei giochi di parole o dei giochi della sua storia (Era quindi un ordine di Tomas che l'amante di Tomas rivolgeva ora alla moglie di Tomas - Ma è proprio il debole che deve saper essere forte e andar via, quando il forte è troppo debole per poter fare del male al debole - ...), dando a essi nella leggerezza della loro forma la gravità (o pesantezza) di un senso o di un non senso. Eh già ... perché anche questo è uno dei giochi dell'autore: svelare verità o significati gravi e poi confonderli o non crederci più di quel tanto. Spara persino cannonate teologiche, salvo poi ridimensionarle dopo aver ottenuto l'effetto di scandalizzare il lettore.
Forse è proprio questo ciò che ha spento l'entusiasmo e il credito iniziale e ha traformato la mia lettura in una doverosa, in parte compiaciuta in parte insofferente, continuazione di quanto iniziato: questa capacità di rilevare con abilità aspetti del comportamento e della vita umana e poi non avere alcun iteresse a cercare per davvero una qualche verità, anzi creare una storia, che pur ambientata dentro una storia ufficiale, produce personaggi ben poco credibili. Per tanti aspetti i suoi personaggi sono una caricatura. Io, ma non è detto che sia un sentimento condiviso e accetto che non sia così, vi ho sentito anche tanto nichilismo in tutto ciò. Insomma un romanzo che si confronta con la psiche umana, la filosofia, Dio, la storia del Novecento con grande gravità, ma infine non fa che giocare con intellettuale sufficienza con la psiche umana, la filosofia, Dio, la storia del Novecento.
Non ci sono dubbi che per chi sta fuori a guardare, come potrebbe fare uno scrittore, chi crede in qualcosa, in una qualunque fede: religiosa, politica, filosofica (e come tale ovviamente non può che sbagliare, perché chiunque abbia un imperativo morale più alto dei propri semplici bisogni, cade, si rialza, si contraddice, ha sensi di colpa, cresce, ...) sia terribilmente kitsch. Ma francamente, a parte i talebani di qualunque fede (politica, religiosa, anti-religiosa, ecologica, anti-ecologica, ...) preferisco le persone che si confrontino con un assoluto, piuttosto che coloro che ridono di qualunque assoluto e coerentemente non possono sbagliare, perché devono rispondere solo ai propri bisogni o poco più.
Ossessiva l'insistenza sul sesso e un po' noiosi tutti questi sogni.
Alla fine Tomas è felice proprio quando raggiunge la libertà dalla sua missione. E' questa l'unica "verità" che alla fine non viene posta in qualche modo in ridicolo da Kundera? Ma l'accento - si badi bene - non viene messo sul fatto che il dedicarsi completamente a una persona, Teresa, era motivo sufficiente per essere felice: sarebbe stato troppo kitsch, troppo borghese. Oltretutto avrebbe rischiato di apparire persino "moralistico": da farfallone impenitente che vola di boschetto in boschetto finalmente a monogamo. Posso ben apparire moralistico io, ma non Kundera. L'accento è posto solo sulla libertà dalla missione. Ma davvero tutta questa libertà, finanche dall'avere uno scopo, rede felici? Per Sabina circa a metà del romanzo non diventa invece, di liberazione in liberazione, un vuoto? L'insostenibile leggerezza dell'essere, appunto?
Ma forse il romanzo è poi solo tutto un abile gioco di parallelismi e antitesi (leggerezza-pesantezza, anima-corpo, Sabina-Tereza, Tomas-Franz, kitsch-individualità, ...), che nuon vuol prendere nulla sul serio, a incominciare proprio da se stesso.

30 agosto 2018, Oscar Testoni

Carlo Carretto, Beata te che hai creduto

Messomi nelle mani con convinzione da chi me lo prestava - Questo libro è bellissimo devi assolutamente leggerlo! -, mi è rimasto a lungo in mezzo alla pila dei libri da leggere, finché, in un periodo di malattia post operatoria ho deciso che era arrivato il momento di restituirlo. Anche se non avevo molta voglia di leggerlo e l'ho mescolato con altre letture, seppure sia troppo facile in un libro su Maria rimanere nei binari del devozionale, posso dire che è un testo capace di toccare corde profonde, anche perché parte dall'esperienza personale.

Giugno 2018, Oscar Testoni

Dino Buzzati, Il deserto dei tartari

Questo racconto assorto e meditativo è scritto con un linguaggio semplice e immediato, ma nel contempo poetico. Esso contiene le più belle definizioni e osservazioni sul passare del tempo. Il tempo che passa e travolge la vita come un torrente pur e anzi proprio nella ripetitività della quotidianità. Il tempo che fa sì che non si possa più recuperare e rivivere i sentimenti, le persone, gli ambienti, i vissuti abbandonati (in questo sarebbe d'accordo Montale con Cigola la carrucola ...). Ma anche un tempo che non muta l'ostinazione dell'uomo convinto che l'importante sia ancora da cominciare. Un tempo che si contraddice, perché se da una parte ha cambiato il protagonista tanto che la sua stanza appartiene a un altro, e davanti alla sua promessa riconosce che quella non era più la sua vita ... aveva preso un'altra strada, tornare indietro sarebbe stato stupido e vano, dall'altra ... egli non si sente gran che cambiato, il tempo è fuggito tanto velocemente che l'animo non è riuscito a invecchiare. Un tempo che nel suo inesorabile correre e impedirci di recuperare il perduto, ha anche una sua circolarità, come nell'episodio del tenente Moro, che nel suo ripetersi identico (salvo che Drogo ha preso il posto di Ortiz nella scena) ci ricorda che siamo invecchiati e che il testimone è passato ai giovani, prima che le attese si siano compiute.
Interessante notare che tanto meno l'uomo riesce a dare una finalità alla propria vita, tanto più si rifugia e trae piacere dalla padronanza del proprio servizio, poco importa chiedersi a cosa serva: è l'abitudine ciò che invischiagli uomini e li tiene lì, dietro vane illusioni.
C'è anche il tema della solitudine ineluttabile dell'uomo.
Il tutto parrebbe (e c'è chi lo interpreta così) una allegoria che ci restituisce un destino universale: l'uomo consuma la vita reiterando con grande dedizione e professionalità abitudini nell'illusoria attesa di qualcosa che non arriverà mai, perché non c'è.
Ma non è così.
Se infatti Ortiz, il colonnello Filimore, il protagonista Drogo e tanti altri consumano l'esistenza in una vita militare perfettamente ordinata nell'attesa di qualcosa che non accade, alla fine dal deserto dei Tartari il nemico arriva e arriva per fare guerra: altri coglieranno i frutti di quell'evento, non Ortiz, non Filimore, già in pensione, neppure Drogo, malato a morte. Parrebbe allora un destino generazionale: la storia coi suoi ritmi fa sì che alcune generazioni transitino sulla terra senza lasciare il segno. Ma non è del tutto vero nemmeno questo, perché, seppure ciò occupi poco posto nel romanzo, i vecchi amici di Drogo sono giunti alla vecchiaia perfettamente soddisfattti dei risultati raggiunti nella propria vita e ora si soffermano nel turbine della moltitudine [...] a distinguere i propri figli, incitandoli a fare presto, sopravanzare gli altri, arrivare per primi. Tutto sommato c'è qualcosa di negativo nel successo di queste persone e nell'educazione ai propri figli: lo stesso Drogo alla fortezza scopre di non avere amici, si accorge di essere stato scavalcato in quella comunità chiusa, che pensava di conoscere e padroneggiare, con efficace opportunismo sia da soldati più vecchi che da altri più giovani. Allora è forse Drogo e altri personaggi come lui e tanti lettori che si riconoscono parzialmente (è poi in fondo solo un romanzo che non può esaurire la tavolozza dei colori della vita) o totalmente in Drogo, inadatti alla società in cui vince chi è allenato a sopravanzare o forse alla vita.
Vi è inoltre un altro tema che accomuna tanti, ma non tutti: la mediocrità. E se noi che ci riteniamo destinati a una vita speciale non fossimo altro che uomini comuni, a cui per diritto non tocca che un mediocre destino? Ma il finale, che non rivelo, pare suggerire un compimento, seppure nascosto, pure per la vita di Drogo, che trova infine una luce e sorride.
Interessanti sono anche i nomi dei personaggi: il dottor Rovina non guarisce Drogo; Matti è arido di cuore; Monti è a capo della spedizione che deve inerpicarsi sui monti per tracciare i confini, facendo morire Angustina, stretto nella sua vita signorile; Lazzari muore escluso e vittima delle stupide regole della sua società. E Drogo, malato fin quasi all'ultimo dell'illusione che il meglio doveva ancora cominciare?
Infine possiamo dimenticarci della montagna? E' un paesaggio arido e duro, ma le parole più poetiche sono proprio per descrivere la sua inspiegabile bellezza.
Consigli di lettura: dall'adolescenza in poi, quando si vuole, ma forse le "risonanze" maggiori si hanno da adulti.

18 luglio 2018, Oscar Testoni

- ripescando dal pozzo -
Greg Mortenson - David Oliver Relin, Tre Tazze di Tè

Letto con soste varie tra il maggio e il giugno dell'anno 2010 per lo più durante i viaggi in autobus o nelle attese, anche se risultava un po' fastidioso questa specie di racconto giornalistico (Relin) riportato dal diretto interessato (Morteson), mi piacque molto e fu spunto di molte riflessioni.
Greg Morteson, l'autore non scrittore del libro, durante una spedizione alpinistica si smarrisce su un ghiacciaio del Pakistan e infine viene accolto nello sperduto villaggio di Korphe, dove viene curato e si rimette in forze. E poi succedono tante cose: la scoperta di un'altra civiltà, la sete di conoscenza e la scelta di ripagare l'ospitalità costruendovi una scuola, accompagnata dalla paura di rovinare quel paradiso e purtroppo anche il recente passato: l'attentato alle Twin Towers e le guerre di Bush.
Il testo è prima di tutto una continua e lunga riflessione sul senso del progresso e della qualità della vita (Morteson era certo che, a dispetto di tutto ciò che mancava loro, i baltì possedessero ancora la chiave di un genere di felicità senza complicazioni che nel mondo sviluppato stava scomparendo), ma anche sul male dell'ignoranza. Infine, ma la maggior parte dei lettori non troppo recenti ne erano già, come me, convinti ben prima che tutto succedesse, il resoconto puntuale delle sciagurate conseguenze delle sciagurate scelete di Bush, ... e non solo in termini di costi umani, ma di creazione di nemici, che prima non erano tali. Un libro che vale la pena di leggere.
Per tutto il mese di giugno i muri della scuola crebbero costantemente; per i gusti di Mortenson, tuttavia, i lavori progredivano troppo lentamente, poiché metà della squadra impegnata nella costruzione ogni tanto spariva per andare a curare i raccolti o gli animali [...] Un pomeriggio dei primi di agosto, nel cantiere, Haji Ali diede un colpetto sulla spalla a Morteson e gli chiese di andare a fare una passeggiata. Lo portò su per la collina per un'ora; le sue gambe erano ancora abbastanza forti da umiliare quell'uomo molto più giovane. Mortenson aveva la sensazione di perdere del tempo prezioso: quando Haji Ali si fermò su una stretta terrazza sopra il villaggio, lui stava ansimando, oltre che per lo sforzo, anche per l'ansia del lavoro che non stava supervisionando. / Haji Ali attese fino a quando Mortenson non ebbe ripreso fiato, poi gli disse di guardare il panorama. L'aria aveva quella limpidezza che si incontra solo in alta quota. Al di là del Korphe K2, le cime di ghiaccio del Karakoram interno s'infilavano implacabili nel cielo azzurro. Trecento metri più sotto, Korphe, verde per l'orzo che stava maturando nei campi, appariva piccola e vulnerabile, come una zattera di salvataggio alla deriva su un mare di pietra. / Haji Ali si allungò e posò la mano sulla spalla di Mortenson. "Queste montagne sono qui da tanto tempo" disse. "E così noi." [...] "Non puoi dire alle montagne cosa fare" disse con un'aria così solenne da lasciare Mortenson senza fiato, come il panorama che aveva di fronte. "Devi imparare ad ascoltarle. Così adesso ti chiedo di ascoltare me. Grazie alla misericordia dell'Onnipotente Allah, tu hai fatto tanto per il mio popolo, e noi lo apprezziamo. Ma adesso devi fare un'altra cosa per me. [..] Siediti. E tieni la bocca chiusa [...] Stai facendo impazzire tutti." [tornano al villaggio, Haji Ali chiede a Sakina di portare loro un tè] Mortenson attese nervosamente per mezz'ora mentre Sakina lasciava in infusione il po cha. Haji Ali fece scorrere le sue dita sul testo del Corano che amava più di ogni altro suo avere, girando le pagine a caso e mormorando una quasi silente preghiera araba mentre meditava. / Quando le tazze di porcellana con il tè al burro bollente fumavano tra le loro mani, Haji Ali parlò. "Se vuoi vivere bene in Baltisan, devi rispettare le nostre usanze" disse soffiando nella sua tazza. "La prima volta che dividi il tuo tè con un baltì, sei uno straniero. La seconda volta, sei un ospite onorato. La terza diventi parte della famiglia, e, per la nostra famiglia, noi siamo pronti a fare qualunque cosa, persino morire" disse, posando affettuosamente la mano su quella di Mortenson. "Dottor Greg, devi trovare il tempo per condividere tre tazze di tè. Forse siamo ignoranti. Ma non siamo stupidi. Siamo vissuti e sopravvissuti qui per tanto tempo."
Nota per gli studenti: dai 15/16 anni ai 120.

7 giugno 2018, Oscar Testoni

- ripescando dal pozzo -
Emilio Rigatti, Se la scuola avesse le ruote

Regalatomi lo lessi sulla corriera 101 avanti e indietro da Imola nell'ottobre 2011, insieme ad altri due libri (all'epoca mi piaceva leggere in contemporanea): Dante Alighieri, La vita nova e Gian Paolo Margonan Un uomo a zonzo per la via francigena.
Sottotitolo: "Avventura di ragazzi on the road e manuale di pedagogia" e frase in prima di copertina "La bici permette a un bambino di crescere, a un professore di sognare. A entrambi, di scoprire" (Claude Marthaler). A sette anni di distanza non ne ricordo con esattezza il contenuto, a parte la piacevolezza della lettura, la curiosità e l'ammirazione per le scelte corraggiose (le responsabilità per un docente in Italia sono enormi) e ovviamente il tema in generale delle sue esperienze di viaggi d'istruzione in bicicletta durante i suoi incarichi di docente di scuola media (o secondaria di primo grado) e delle riflessioni pedagogiche sottese. Il libro non presenta sottolineature o commenti a lato come poi ho preso l'abitudine di fare in seguito. In seconda di copertina oltre alla data di lettura (e i libri letti in parallelo nello stesso mese) riportai: "Interessante e divertente. Utile per liberarsi di ciò che della nostra civiltà non serve".

Nota per gli studenti: lettura per tutte le età (a parte i bambini).

7 giugno 2018, Oscar Testoni

Lucia Campi Pezzi, Sissi: la regina delle Dolomiti

Acquistato, credo a Brunico nell'estate del 2016 e, dopo una prima immediata incursione tra le sue pagine, letto (e studiato) i primi di giugno 2018, durante una convalescenza post-operatoria. Il libro, edito dall'editore a me sconosciuto Curcu & Genovese, si presenta con una copertina che sa di libro turistico e per turisti ("I soggiorni di Elisabetta d'Austria in Trentino Alto Adige" è la dicitura che campeggia in alto destra dentro uno scudo rosso orlato d'oro a fianco del nome dell'autrice, tanto da sembrare il suo titolo), ma, nonostante i diversi errori che mostrano una non accurata revisione delle bozze, si presenta sia come uno scorrevole racconto prossimo al romanzo storico, che come un accurato libro di ricostruzione storica. Attraverso la particolare angolarura delle vicissitudini sfortumate della famiglia Asburgo e dell'imperatrice Elisabetta (detta Sissi) in particolare si rilegge la storia politica, culturale e sociale della seconda metà dell'Ottocento e del primo Novecento (visto che il libro si spinge oltre la morte di Sissi fino all'utimo erede degli Asburgo Carlo I o "Carlo Ultimo").
A parte gli indubitabili interessi storici (che per la storia moderna significa anche entrare nella vita delle corti, nelle politiche matrimoniali, nelle relazioni diplomatiche, che spesso altro non erano che riunioni tra parenti), mi ha attratto la possibilità di rivedere attraverso la lettura i posti e i luoghi che come "amante della montagna" (e con questo riassumo tutte le attività che in essa vi svolgo: alpinistiche, turistiche, culturali, ma anche spirituali, perché no!? con buona pace per Moesner) ho più volte frequentato e così scoprire una profondità storica proprio di quei luoghi da me frequentati prevalentemente per una personale ricerca interiore.
Poi sì il personaggio principale rimane lei, la contradditoria Sissi, irrequieta, ossessionata dalla sua bellezza, travagliata da disturbi dell'alimentazione, iperattiva, che odiava la corte, ma sperperava in capricci da imperatrice: degna rappresentante dell'ottcentesco romanticismo inquieto e malinconico, o anticipataria nelle sua indipendenza del secolo successivo, o reperto delle vecchie sovrane dell'ancien regime? Come sempre il furbo D'Annunzio riesce a riassumere con un motto efficace se non la vita, almeno l'effetto Sissi nel suo come nei successivi secoli: "L'eroina del sogno". E con questo la leghiamo all'altrettanto sfortunato cugino Ludwig, a cui era legata, coi suoi castelli da "sogno".
Ma non è Sissi alla fine a intrattenermi, quanto il suggestivo scorcio geografico e storico insieme, attraverso gli a me beno noti luoghi e le a me ben note date della storia ufficiale.
Nota per gli studenti: lettura per tutti, purché interessati o all'argomento storico o ai luoghi.

6 giugno 2018, Oscar Testoni

Duccio Facchini, Le ragioni del "NO", Altreconomia.

Un capitolo è di ricostruzione storica della nascita della revisione costituzionale, due si dedicano all'analisi punto per punto dei mutamenti della carta costituzionale, con oggettività. Potete tranquillamente fermarvi lì. Vi è infatti un quarto capitolo che illustra le ragioni del "NO", ma è assolutamente inutile, perché i primi tre, pur nella loro secchezza sono già sufficienti a capire le ragioni del "NO".

Autunno 2016, Oscar Testoni

Jane Austen, Emma

Un giallo rosa. Questa è la definizione che subito mi è balzata alla mente mentre stavo scendendo in agile corsetta giù per gli ultimi capitoli di questo romanzo. La tecnica infatti è quella del giallo: portarti su certi indizi per farci credere che si andrà inevitabilmente in quella direzione, farci vedere il mondo attraverso l'universo mentale e le analisi di Emma, salvo poi scoprire che le analisi erano errate, e che i comportamenti umani andranno in una direzione diversa da quelli ipotizzati, su buone ragioni e indizi - almeno così inizialmente pare al lettore - da Emma. Quando poi si scopre la realtà, al lettore - proprio come in un vero giallo che si rispetti - tornano in mente gli indizi che portavano a comprendere la realtà. Ma il colore giallo è accompagnato da quello rosa, perché la materia è sentimentale e termina con tanti matrimoni tutti felici, tranne quello del bel curato Elton e della sua presuntuosa moglie.
L'ironia della Austen, che tanto mi ha affascinato in Orgoglio e pregiudizio, qui è più attenuata, diluita, a volte impercettibile, a volte addirittura ambigua. Allo stato attuale delle mie letture della Austen, Orgoglio e pregiudizio rimane la lettura più gradevole e affascinante, mentre la lettura più faticosa è Ragione e sentimento. Emma si colloca nel mio opinabilissimo gradimento, per la sua delicatezza subito dopo in gradevolezza a Orgoglio e pregiudizio. Cercate buone traduzioni, perché la scrittura complessa della Austen, in traduzioni non buone rischia di essere ardua.
Nota per gli studenti: a chi ha già una buona abilità di lettura consiglio (ma non prima della III media) Orgoglio e pregiudizio. Rimanderei Emma a un'età più matura e Ragione e sentimento a una ancora più matura.

Oscar Testoni

Gaëlle Josse, Le ore del silenzio, Skira

Delicato racconto storico sotto forma di diario. Letto quasi interamente (a parte alcune pagine rubate per la curiosità subito dopo l'acquisto e prima di addormentarmi) nel viaggio di andata e ritorno in corriera Bologna - Imola il giorno dopo l'acquisto (04/09/2012), questo testo ha inizialmente faticato a reggere la viva aspettativa che le entusiastiche recensioni e le ammirate interviste radiofoniche con l'autrice avevano suscitato in me. Effettivamente la seconda metà di questo racconto lungo contiene alcune perle delicate. Alla fine ne vale la pena.
Si tratta di un racconto storico sotto forma di diario, che ha come protagonista la donna dipinta di spalle mentre suona uno strumento musicale (la spinetta) nel quadro del pittore olandese Emanuele De Witte. Contrariamente a La ragazza con l'orecchino di perle di Tracy Chevalier (a cui è stato troppo spesso paragonato) la musica più che l'arte fa da sfondo e da co-protagonista a queste confessioni di una donna della borghesia mercantile olandese del Seicento.
Nota per gli studenti: pur non presentando particolari difficoltà di lettura e non rappresentando scene inadatte a un pubblico adolescente, lo consiglierei a chi ha già una certa dimestichezza con la lettura e soprattutto o un'interesse per la storia viva e quotidiana della gente comune o una sensibilità per la parola poetica, la scrittura pennellata, l'arte e la musica.

Oscar Testoni

Roald Dahl, Gli sporcelli, Salani Editori

Lettura semplice, rilassante e divertente, già adatta agli ultimi due anni della scuola primaria (ex elementari). La prima parte è soprattutto incentrata sulle "porcellate" che i due "sporcelli" (una coppia) si fanno a vicenda, la seconda invece sulle scimmie addestrate che tengono in gabbia e sulla loro vendetta. Nel testo non mancano errori di logica narrativa anche all'interno dell'ideazione fantastica di Dahl (ad esempio il fatto che le scimmie non potessero comunicare con gli uccelli perché non sapevano l'inglese ma solo una lingua africana, ma comprendono bene quello che gli sporcelli si dicono tra di loro). Ovviamente non condivido il giudizio di scarso igiene sui "pelinfaccia" in quanto parte in causa (e credetimi la mia barba è pulitissima: viene lavata più volte al giorno).
Coinvolgente la lettura dell'edizione in audiolibro fatta da Fabrizio De Giovanni.
Occhio alla "restringite"! Non perdona!
Nota per gli studenti: non sono richieste particolari capacità di lettura per chi è già madrelingua italiana o ha iniziato il primo ciclo di studi già in Italia; eventualmente si può sempre "audioleggerlo" (audiolibro disponibile in Sala Borsa - ragazzi - BO)

Oscar Testoni

Jane Austin, Persuasioni

E' il mio quarto romanzo della Austen, il suo ultimo. Esprime sicuramente un grande equilibrio e si avverte una grande maturità di scrittura. Sebbene si intuisca - contrariamente a Emma che ho qui definito come una specie di giallo rosa - abbastanza bene come andrà a finire, si continua a leggere con piacere per come procede la scrittura. Anzi vi è come in tutti i buoni romanzi un punto di precipizio, in cui si desidera accelerare la lettura, precipitare - appunto - dentro il finale, che, benché intuito e non costituisca più una sorpresa, si vuole vivere attraverso le parole esatte della Austen. Nella mia classifica personale non raggiunge però Orgoglio e pregiudizio, il più umoristico, gustoso, coinvolgente e per certi versi quasi rivoluzionario, nonché razionalmente appassionato suo romanzo. Non escludo che questa mia predilezione per Orgoglio e pregiudizio dipenda anche dal privilegio di essere stato il primo suo romanzo da me letto.
Ma perché sono giunto per la quarta e presumibilmente non ultima volta a leggere Jane Austen? Cosa mi attrae di questo insopportabile suo mondo della formalità? Forse il fatto che i suoi personaggi appartengano a una classe di privilegiati che non abbiano nulla da fare dalla mattina alla sera che fare passeggiate, ricevere e ricambiare visite, darsi al "gossip", organizzare cene, feste e ricevimenti, ipotizzare e programmare matrimoni tra pari grado?
Più che mai in Persuasioni l'equilibrio raggiunto dalla Austen mi riuslta ambiguo: quanto di questo suo soffermarsi su questi pensieri dei propri personaggi di convenienza o meno sul frequentare persone di grado inferiore sia un modo per prendere in giro quel mondo o sia terribilmente serio, limitandosi a ritagliare una lieve marginalità di spazio per l'amore quando esso unisce persone di gradi appena un po' divergenti?
Ma quanto è cambiato oggi questo mondo? Davvero oggi non si valutano più la dignbità delle persone dalla tipologia di calesse utilizzato e da quanti cavalli lo tirano? Non si capisce infatti tutta questa frenesia (e quanti debiti e quante cambiali!) per mostrare il SUV più alto e lungo tra cittadini che si spostano su strade perfettamente asfaltate, talvolta pure strette, per portare i figli a scuola o per fare la spesa all'ipermercato.
Almeno questo mondo dipinto dalla Austen - la cui sottile ironia mostra una non piena adesione - conserva buon gusto, contrariamente all'ostentata esibizione contemporanea, persino un senso di giustizia, oggi troppo spesso assente - per quanto in un'ottica sociale che prevede forti differenze e privilegi per nascita - e certamente una bontà nei suoi personaggi positivi, che non mi ha ancora stancato di trovare in letteratura. Ma è sicuramente l'eleganza della scrittura della Austen, per quanto talvolta talmente cerebrale da scrivere periodi che sono dei veri rebus logici da decifrare, a rendere affascinante persino un mondo così insopportabilmente vacuo.

Nota per gli studenti: dalla sospensione didattica tra la seconda e la terza secondaria di primo grado, consiglio a chi ha buone capacità di lettura di iniziare da Orgoglio e pregiudizio.

Oscar Testoni

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie dal sottosuolo

Con questo testo sono finalmente per la prima volta entrato tardivamente in contatto (durante i viaggi in corriera tra Bologna e Imola tra passeggeri sonnecchianti prima e studenti rumoreggianti poi) con questo mostro sacro della letteratura di tutti i tempi. Non è facile entrare dentro a un mondo così roboantemente preceduto dalla sua fama: genera quasi paura. Si rischia di girarvi attorno senza mai entrarvi. Ma vi sono entrato. Dalla cantina vi sono entrato dove la polvere, le ragantele, il disordine e l'umidità regnano sovrani e il mio desiderio è stato quello di uscirvi, la mia tentazione di disprezzarlo, di non considerarlo degno della fama di cui gode. Ma ho perseverato: sono rimasto a sopportare l'umidità, l'odore di stantio, la muffa, fino alla fine, quando ho dovuto ammettere che i grandi sanno ospitare anche in cantina, senza servizi in porcellana e cristellerie. Continuerò a leggere Dostoevskij.

Nota per gli studenti: consiglio di aspettare un'età più adulta e comunque è solo solo per chi ha interessi letterari.

Settembre 2012, Oscar Testoni

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Il grande inquisitore e Gherardo Colombo, Il peso della libertà

Come si può vedere continuo a girare attorno a questo mosto sacro: prima entrando dalla cantina con le memorie del sottosuolo e ora direttamente in sala da pranzo, ma dalla finestra, senza transitare per l'atrio e i vari corridoi: Il grande inquisitore non è infatti un romanzo, bensì un estratto da I fratelli Karamazov, a cui si aggiunge una riflessione di Gherardo Colombo sulla libertà. Finalmente ho letto queste pagine che mi erano sempre state banalizzate come uno scritto contro la Chiesa e invece sono un pugno nella pancia all'umanità, che ha e mostra di continuare ad avere paura della libertà. Quelle di Dostoevskij sono parole che ogni adulto dovrebbe leggere, per provare ad essere adulto. E per me è arrivato il momento di entrare dentro a un suo mattone tutto intero.

Nota per gli studenti: consiglio di aspettare un'età più adulta.

Settembre o forse ottobre 2012, comunque sempre sulla solita corriera, Oscar Testoni

Vandana Shiva, Storia dei semi - Illustrazioni di Allegra Agliardi - Feltrinelli Kids

Testo letto direttamente in biblioteca in 40', a chi non conosce già gli argomenti richiede più tempo. Testo molto didattico per spiegare ai ragazzi temi ormai fondamentali per il pianeta Terra: monocolture e biodiversità, agricoltura industriale, chimica, naturale, biopirateria, ogm. Tutto raccontato in modo chiaro.

Nota per gli studenti: chiaro e di non difficile lettura per coloro a cui interessano i grandi temi relativi al pianeta Terra e al suo futuro. Ovviamente non si tratta di un racconto, ma di un testo espositivo. Presente in sala Borsa - ragazzi - Bologna.

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Delitto e castigo

Eccomi finalmente con un romanzo del calibro di Delitto e castigo, finalmente dentro al grande scrittore dell'Ottocento russo. Una prostituta - santa - converte uno studente omicida di buona famiglia. Solo Dostoevskij può mettere in bocca a un ubriaco un bellissimo discorso su Dio e solo lui può mettere così efficacemente in corto circuito la purezza delle motivazioni di un animo delicato (non fare morire di inedia, freddo e tubercolosi la madre, i fratellini e un padre che a causa dell'alcol è incapace di tenersi un'occupazione) con il lavoro da sempre considerato nella nostra società come emblema della degradazione morale.
Ci vuole pazienza per leggere Dostoevskij, ma a mio parere ne vale davvero la pena.
Per svecchiarlo un attimo gradirei che venissero pubblicate delle traduzioni con un italiano che non siano di ostacolo al piacere della lettura e con parole che siano ancora usate e non siano state abbandonate tra la prima e la seconda guerra mondiale. Un grazie all'editore che deciderà di farlo.

Nota per gli studenti: aspettate di diventare più grandicelli, ma se vi piace leggere, all'età giusta, abbiate il coraggio di affrontarlo.

In corriera - inverno 2012-13 - Oscar Testoni

Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Povera gente

Quarto testo di Dostoevskij che leggo (terzo se contiamo opere intere, dato che "Il grande inquisitore" è solo un estratto dal romanzo "I fratelli Karamazov") in pochi mesi, ma il suo primo scritto. Come si può vedere il mio desiderio di entrare dentro questo mostro sacro della letteratura ha prodotto più appetito che nausea. Questa sua opera prima non mi ha affascinato e come avrebbe potuto dopo essere stato vinto dai suoi colossi successivi. E' un testo che guarda il mondo dalla parte di chi vive sulle soglie della povertà, una raccolta di lettera (quindi un romanzo epistolare) tra una giovane e un adulto che nutrono l'uno per l'altro un delicato amore. Ma è proprio per amore che il loro amore non termina in modo holliwoodiano, essendo appunto "povera gente": la ragazza per il bene di lui, che si priva per lei dei pochi soldi del suo lavoro, decide una sistemazione che liberando lei dalla privazione economica, permetta anche a lui una vita più dignitosa.

Nota per gli studenti: quando sarete più grandi, abbiate il coraggio di affrontare il Dostoevskij maturo.

Betty Smith, Un albero cresce a Brooklyn

Anche nel cemento di Brooklyn può crescere un albero: un testo crudo e delicato assieme sull'umanità che vive ai margini della grande festa del progresso e del benessere nella prima metà del secolo scorso.
A parte un punto per me incomprensibile in cui la protagonista si duole di non essersi lasciata prendere in giro da un ragazzo che voleva sedurla fingendosi libero pur avendo già programmato le nozze con un'altra donna, la scrittura femminile di Betty Smith è affascinante, fa calare il lettore in una realtà concreta, con la sua durezza, ma anche con il suo carico di umanità e il sentore, carico di poesia, del ricordo.

Nota per gli studenti: per chi ama leggere.

Giugno 2013, Oscar Testoni

Harper Lee, Il buio oltre la siepe
titolo originale To Kill a Mockingbird (=uccidere un passero)

Mi è sempre piaciuto l'aspetto rievocativo delle estati selvagge di tre bambini la cui infanzia per il modo di giocare può assomigliare alla mia. Il mistero di Boo guida il romanzo e fa da cornice all'altra storia in essa contenuta: quella del processo di Tom, un nero, destinato a perdere, perché anche se tutti conoscono la verità, una disputa legale tra un nero e un bianco non può non finire che con la vittoria di quest'ultimo, anche se moralmente inqualificabile. Eppure Atticus Finch, l'uomo che tanto vorrei essere, e che non riesco a immaginare diverso da Gregory Pack - per la versione cinematografica in bianco e nero a me nota sin dall'infanzia -, sa che le battaglie, quando sono giuste, vanno combattute, anche quando destinate a essere perse, sempre portando rispetto per tutti (su quest'ultimo punto faccio molta più fatica ad assomigliargli), perché è solo attraverso piccoli passi che si fanno i cambiamenti culturali. Vi sono parole e pagine che sono ancora capaci di indignarmi e altre di commuovermi. Mai avrei pensato, mentre le leggevo, che sarebbero state ancora così tanto attuali. Purtroppo proprio nei giorni in cui nei ritagli morti leggevo queste pagine, un processo statunitense ha scatenato la rabbia della comunità nera americana e alcuni politici italiani, che rappresentano una parte dei sentimenti del Nord-Italia, si sono distinti per affermazioni sconcertanti (non di natura politica, ma squisitamente razziale) sul primo dei ministri di colore in Italia. La vicenda di cornice - Boo - e quella contenuta - Tom - si intrecciano nel finale e finiscono col diventare due varianti della stessa chiusura culturale e paura per il "diverso", a cui fa da contraltare l'apertura della narratrice, suo padre, suo fratello, l'amico Dill, lo sceriffo e la simpatica Miss Modie. Il testo è anche una profonda riflessione sul cristianesimo dentro cui si scontrano modi molto lontani di concepire la fede: la narratrice, per quanto ancora giovane, ci presenta il proprio, fresco e aperto, ma che si scontra contro l'ipocrisia della comunità cristiana - soprattutto bianca - del paese degli stati del Sud in cui si svolge la vicenda e in cui autobiograficamente è nata e cresciuta l'autrice.

Nota per gli studenti: un testo da leggere in terza media, ovviamente per chi ha già superato Geronimo Stilton.

Luglio 2013, Oscar Testoni

Erri De Luca, I pesci non chiudono gli occhi

Letto con agilità come tutti i suoi libri tra un viaggio di ritorno in treno da Venezia con mia figlia e una calda mattinata di luglio, questo è per me il sesto libro che leggo del prolifico scrittore Erri De Luca, che tante volte mi ha affascinato. Anche questo testo non manca di spunti interessanti e sfumature poetiche capaci di vibrare alcune corde, ma forse ora la sua scrittura incomincia a interessarmi meno rispetto a prima: la trovo sempre meno una scrittura da romanzo e sempre più una scrittura da teatro, dove mi piacerebbe anonimamente incontrarlo in futuro.

Luglio 2013, Oscar Testoni

Francis Scott Fitzgerald, Il grande Gatsby

Si entra lentamente nel clima decadente, vuoto e privo di valori della classe ricca degli anni ruggenti americani con una scrittura che indugia su metafore ardite, a volte illuminanti, talvolta spiazzanti, talaltra cerebrali. Una volta dentro, tutto accade rapidamente e si precipita nella catastrofe di questa tragedia dell'età contemporanea. Il clima oscilla tra la tristezza, il cinismo e il vuoto. L'uscita dopo la catastrofe è di nuovo lenta e lascia l'amarezza di un mondo ricco e vuoto, infelice e pericolsamente incapace di assumersi le proprie responsabilità. Quale stupore se quel mondo ha prodotto di lì a poco la più grave crisi economica del Novecento! Mi piacerebbe capire quanta differenza vi sia con quello - sempre statunitense - che ha prodotto l'attuale crisi di inizio millennio. In chiusura l'io narrante ne prende le distanze, seppur con un certo dispiacere, dovendo tra l'altro troncare un rapporto sentimentale, preferendo a quel mondo, i solidi, pettegoli paesoni del west. Alla fine - per quanto non corrsiponda al mio gusto di lettore - sono stato contento di averlo letto. Non è per gli attuali ragazzi delle medie.

Nota per gli studenti: non è per gli attuali ragazzi delle medie.

Laces (Val Venosta) Agosto 2013, Oscar Testoni

Anne Bronte, Agnes Grey

E' l'anno 1847 quando le tre sorelle Bronte, Anne (immagine qui a sinistra), Charlotte ed Emily, pubblicano in contemporanea un romanzo ciascuna: Agnes Grey (Anne), Jane Eyre (Charlotte), Cime tempestose (Emily).
Ho deciso di incominciare questa triade familiare femminile della letteratura inglese con il meno famoso dei tre. Per chi sa leggerlo con intelligenza e togliere la patina del tempo, il testo è decisamente attuale. Certo almeno inizialmente la scrittura non è sempre attraente e il suo continuo appellarsi al lettore per giustificare il soffermarsi o meno su certi particolari adducendo il motivo di non volerlo annoiare o scusandosi per averlo annoiato non aiutano di certo ad alleggerirla, ma diventa sicuramente più interessante nella seconda metà del romanzo. Rispetto al resto del romanzo che contiene tratti più romantici, la prima parte è sicuramente più noiosa. In essa spicca il tema pedagogico e andrebbe sicuramente letta dai tanti (troppi) genitori che delegano l'educazione dei figli alla scuola, ma poi la deprivano della necessaria autorevolezza, schierandosi al cospetto dei figli dalla loro parte in ogni loro resistenza, diventandone avvocati e nel contempo accusatori acerrimi di coloro a cui li hanno affidati. Il fallimento di questo atteggiamento educativo è ben evidente nel romanzo: non solo la precettrice non riesce a educare la signorina Murray sia sotto il profilo etico che didattico, ma ella sulla linea orgogliosa della famiglia va incontro a una infelicità confessata anche se non pienamente compresa. Non mancano frecciate profetiche alla didattica senza fatica, cosa impossibile, perché non si può insegnare nulla per uno scopo qualsiasi senza una piccola applicazione da parte di chi apprende direbbe Anne Bronte per bocca di Agnes Grey. L'ambientazione, a me molto familiare avendo già letto quasi tutti i romanzi della Austen, è quella dell'alta società inglese di campagna e di quella più modesta degli uomini di chiesa. Ma contrariamente alla Austen che inventa personaggi capaci di stare bene dentro a questa società, sebbene operino leggeri scarti, sicuramente potenziati dalla sottile ironia della scrittura capace di porre talvolta in ridicolo i personaggi di questi ambieti, Agnes Grey, senza ironie o ambiguità, mostra di non condividerne i valori e in modo più decisamente rivoluzionario il romanzo opera un ribaltamento: la ricchezza dei Murray e degli Ashby, priva di valori umani ed etici, ben concentrata a conservare distanze e privilegi, conduce all'infelicità i suoi rampolli male educati, mentre le modeste condizioni, di Weston e di Grey, condite con intelligenza, apertura al prossimo, un'educazione solida, conducono invece alla felicità. Quanto la speranza di possedere sorpassa il piacere del possesso! Ma la vendetta che l'autrice apporta col suo romanzo non è solo sociale, condannando a una vita triste e grigia gli orgogliosi e altezzosi figli dell'alta società e promuovendo alla felicità i laboriosi e umili veri protagonisti della storia. La vacua, insensibile, estroversa, vistosa e cattiva signorina Murray è anche bella e adorata dagli uomini, che si diverte a fare innamorare di sé per il gusto di essere vezzeggiata, godendo come di una vittoria della loro sofferenza, mentre la solida, generosa, bisognosa di dare e ricevere affetto, Agnes è timida, poco attraente, vestita in modo modesto e passa inosservata davanti agli uomini, che non si accorgono di lei. E questo, insieme al tormento di un amore che si teme non corrisposto, è sicuramente il tratto più romantico del romanzo: la ribellione di chi si sente degna di essere amata, ma ha un aspetto che non attira come quello di altre donne meno degne dal punto di vista umano. Molte proveranno questo sentimento: sentono che potrebbero amare, che sono degne d'essere amate e che, per la mancanza della bellezza, sono private di quella felicità per cui si sentono create; allo stesso modo che se un'umile lucciola disprezzasse il potere di spandere la luce, senza la quale il vagante maschio le passerebbe e ripasserebbe vicino mille volte senza arrestarlesi accanto. Essa udrebbe il suo alato innamorato ronzarle intorno, ma senza alcuna possibilità di fargli conoscere la sua presenza, senza voce per chiamarlo, senza ali per seguire il suo volo. Quello cercherà un'altra compagna; essa vivrà e morirà sola. Ma la sempre contorniata da uomini signorina Murray finirà sola e triste, senza via d'uscita, mentre ben altre prospettive terrene di amore e felicità si apriranno infine per quella che in un tutto il romanzo appare come sola e triste, rassegnata a rimandare la felicità a una vita ultraterrena. Testo consigliato a quelle donne e a quegli uomini che vivono nell'ombra della bellezza o della disinvoltura o della arroganza o della esibita ricchezza altrui.

Nota per gli studenti: scrittura non alla portata delle capacità di lettura degli attuali studenti, ma i temi in esso trattati sarebbero invece molto utili per l'attuale adolescenza disorientata da modelli vacui promossi dai media simili a quelli dei Murray e degli Ashby.

11 Settembre 2013, Oscar Testoni

Jane Austen, Lady Susan

Quinto, forse non ultimo, romanzo della Austen, che leggo, Lady Susan è in realtà il suo primo romanzo, almeno nella sua prima stesura. Si tratta di un romanzo epistolare, piuttosto corto, di agile lettura, incentrato, come ci dice il titolo, su Lady Susan, personaggio femminile cinico, completamente disinteressato della felicità degli altri, che lei vede solo in funzione del raggiungimento dei propri fini: gode in particolare della sua grande capacità di saperli raggirare, di averli in suo potere, di far procedere gli eventi secondo i propri piani, che in alcun modo sono finalizzati a una qualche, anche soggettiva, personale o finanche perversa visione di bene. Vi si scorge solo l'affermazione della propria capacità di abbindolare le persone e gli uomini in particolare, il desiderio di conseguire i propri obiettivi economici (attraverso un matrimonio vantaggioso) con la minor rinuncia possibile di libertà personale, ma con la maggior rinuncia di libertà altrui. Per i suoi fini non si interessa di sacrificare la felicità della figlia, gode all'idea della vendetta, e giunge persino ad esprimere alla propria confidente, che le somiglia, i propri desideri di morte altrui, quando questa permetta a lei di conseguire i propri obiettivi. Abilissima nell'aggirare il prossimo, con la sua arte sopraffina di simulazione, adulazione, seduzione, fascinazione, su tutti, uomini e donne, vince molte battaglie, ma alla fine perde la guerra, pur conseguendo una soddisfacente ritirata. Alla fine di quella rapida successione di lettere senza cornice appare un "io" conclusivo, un narratore onnisciente, assente fino a quel momento, che si schiera dalla parte dell'unica persona che non ha ottenuto nulla di ciò che desiderava, ma lo fa non senza l'ombra di un umorismo, che mette in discussione la sua stessa affermazione, lasciando aperta la possibilità che si tratti di una conclusione ironica. C'è la Austen nell'interesse per la politica matrimoniale, c'è nel divertimento narrativo dei rapporti umani e nell'umorismo, ma l'aver messo al centro del racconto un personaggio cosi cinico e amorale è sicuramente un aspetto distante dai suoi successivi romanzi

Nota per gli studenti: dalla sospensione didattica tra la seconda e la terza secondaria di primo grado, consiglio a chi ha buone capacità di lettura di iniziare da Orgoglio e pregiudizio.

Oscar Testoni

David Grossman, Qualcuno con cui correre

Ci sono varie possibilità di "leggere" questo romanzo.
Può essere visto come una storia d'amore e per certi versi i titoli dati ai capitoli sembrano confermare questa possibilità: una storia d'amore strana, perché l'amore inizia in assenza della persona amata, cercata (anzi rincorsa) senza essere ancora stata vista e nello stesso tempo stupenda, perché realizza il pieno completamento reciproco e soprattutto presenta con la forza di dimostrazione della scrittura l'esistenza di una comunicazione immediata, quella che un mio amico laureato in psicologia, nonché guida spirituale disse senza mezzi termini e in modo perentorio a me e alla mia fidanzata, prima che ci sposassimo, di scordarci ("Non esiste la comunicazione immediata, è un'illusione: o vi parlate o scardatevi di capirvi"), ma che gli adolescenti e forse tutti gli innamorati credono di provare. Comunque questa storia d'amore rappresenta un sogno, un desiderio recondito in ogni essere umano, sentirsi così profondamente compreso in modo pieno e totale, quando si parla e ancor più quando si tace.
Un'altra possibilità di lettura è quella di vedere questa storia come una fiaba, anzi come una doppia fiaba, perché, inizialmente divisa in due e solo alla fine confluita in una, ha due protagonisti di pari grado. Non è una fiaba solo perché il cavaliere senza macchia si getta nell'impresa di liberare la principessa (che ancora non conosce, né sa se è bella o brutta, ma cammin facendo s'innamora sempre più di lei) prigioniera di qualche cattivo, non solo perché vi sono aiutanti dell'eroe (Teodora, Leah) che sottoponendolo a prove, gli forniscono dei mezzi magici per affrontare i pericoli (formule magiche per interpretare la realtà, capire e trovare la principessa), non solo perché i personaggi, pur profondamente scandagliati dall'analisi della scritturaa, si stagliano netti in gruppi ben distinti: le persone autentiche, le persone finte e le persone malvagie e non solo per il lieto finale (ottenuto con l'intervento di Karnaf, cosa che devia dalla fiaba, in cui di solito l'eroe è solo nel duello finale con l'anti-eroe), ma anche e soprattutto perché gli eroi (come ho già detto sono due e non uno, contrariamente alla fiaba classica) attraverso le vicende in cui si trovano coinvolti (per scelta - Tamar - o per caso - Assaf - almeno inizialmente) li trasforma, fa uscire dal bozzolo la farfalla che era nascosta, soffocata in loro, trasforma due personaggi irrisolti in due personaggi compiuti e autentici. E questo è l'essenza della fiaba: raccontare la trasformazione da quella fase indistinta in cui non si è né carne né pesce in adulto, saggio, capace di amministare il regno o altro.
Un'altra possibilità sarebbe anche quella di leggerlo come un giallo, ma questo è l'effetto solo della prima parte del romanzo, poi le due storie parallele vanno chiarendosi a vicenda e non c'è bisogno di arrivare alla fine per comprendere tutta la vicenda. Questa è quindi la lettura più debole, anche se del giallo l'autore inizialmente utilizza le tecniche della suspense.
Certo vi si può leggere anche il conflitto tra autenticità, che sembra albergare nelle persone più strane (una ragazzina complicata, bloccata e auto determinata al fallimento, un ragazzo goffo, impacciato e ipertimido, una donna che rimane chiusa per cinquant'anni in una torre fedele a una voto che ha perso completamente il suo senso, una donna uscita da vicende tempestose di violenza e droga, un ragazzo sfregiato da un incidente e preso in giro che si rifugia nell'osservazione delle stelle, un innamorato incurabilmente fedele, anche se abbandonato, ...) e inautenticità, impersonata invece dalle persone riuscite nella società con un posto e un ruolo ben preciso, quelle che hanno successo con le donne - dal punto di vista maschile - e che alla fine la spuntano sugli uomini - dal punto di vista femminile -. L'autenticità diventa apertura, anche se selezionata, ascolto e rivelazione, ospitalità, fiducia e generosità. L'inautenticità è invece impersonata da personaggi, che, anche quando sembrano fare un favore, sono tutti incapaci di comprendere realmente gli altri e generano attorno a sé, senza avvedersene e incolpevolemente, nel migliore dei casi tristezza, nei peggiori dolore fino all'autodistruzione (Shay). E sono proprio i personaggi apparentemente "sbagliati", quelli "fuori posto", ma che hanno accettato appunto di essere autentici, che portano avanti la storia fino al finale dove il bene trionfa sul male. I personaggi compiuti, realizzati, la cui vita è andata secondo i propri programmi, non capiscono e ne rimangono fuori. Vi è poi la malvagità scelta e organizzata, consapevole e colpevole, ma essa funge da puro antieroe, nemico da sconfiggere, come sempre con un capo e i suoi gregari.
Non si può certamente dimenticare Dinka, che non solo va sicuramente annoverata tra i personaggi autentici, pur essendo una cagna, ma è il legame tra le due storie.
Poi c'è chi può essere interessato al tema del canto, ben descritto, o a quello della droga e del mondo che vi gira attorno e chi infine alla scena delle vicende: Gerusalemme.
Dal punto di vista narrativo è intrigante l'inizio, giocato sulla presentazione di personaggi e storie diverse in modo che il lettore, senza ancora aver capito bene il senso complessivo, intuisca che quel cane le legherà e che i due protagonisti si incontreranno. Finito questo primo effetto c'è una stasi, dopo il primo centianio di pagine, dove le eccessive e puntigliose descrizioni di quel che succede in piazza sotto gli occhi di Tamara, almeno per chi come me non ha né vissuto né visto Gerusalemme, sono piuttosto noiose. Dopo la prima metà, quando il lettore ha ormai capito tutto, ma vuole vedere come i due eroi riusciranno nelle loro imprese, la narrazione diventa coinvolgente, a tratti poetica.
Un vero peccato che una persona così attenta come Grossman pubblichi per la Mondadori. Chissà quanto ne sia consapevole!

Nota per gli studenti: leggibile dalla terza media.

Oscar Testoni, luglio 2014

P. L. Travers, Mary Poppins, I Delfini, Fabbri

Tra il vento dell'est e quello dell'ovest ci sono le avventure di quattro bambini (soprattutto dei due più grandi) con l'istitutrice Mary Poppins: avventure, perché in fondo, come la maggior parte dei libri per bambini del passato, il testo è una collana di strani eventi, racchiusa tra l'arrivo col vento dell'est e la partenza col vento dell'ovest di questa governante. Vanitosa, impettita, brusca, lunatica, di poche parole, sorride raramente e mai ai bambini (almeno ai due più grandi), non dà mai spiegazioni né su quello che succederà, né su quello che è successo, i due bambini la temono, faticano a rivolgerle la parola, perché hanno paura delle sue burbere reazioni, che talvolta giungono persino all'umiliazione dei bambini: questa è Mary Poppins. E pensare che nel 2008 - fortunatamente non ricordo più quale dei tanti geni che in questi ultimi venti anni si sono prodigati a dare la loro ricetta vincente per la scuola e l'insegnante ideale, senza conoscere assolutamente la scuola di oggi è in questo caso senza aver mai letto il libro di Pamela Lyndon Travers - qualcuno ha roboantemnete indicato Mary Poppins come modello per gli insegnanti: probabilmente questo disinformato saccente che ha diritto di scrivere sui giornali ha visto solo lo splendido film della Walt Disney, che ha trasformato con la meravigliosa interpretazione di Julie Andrews il reale personaggio in uno, sempre molto determinato, ma molto più dolce. Se oggi un insegnante si permettesse di umiliare così gli alunni avrebbe vita dura. Inoltre il non dare mai spiegazioni (I never explain anything) è la negazione degli attuali principi pedagogici, per i quali bisogna sempre rendere conto all'alunno del percorso, delle modalità di valutazione etc. Ma Mary Poppins è amata dai bambini, pur così lunatica e scostante, perché, quasi come se lei non volesse, attorno a lei capitano le cose più incredibili: dal prendere il tè sul soffitto, a risolvere i problemi dei cani, dal fare il giro del mondo grazie a una bussola che muove improvvisamente il mondo intorno a loro, ad acquistare pan pepato da una strana vecchietta (anche lei umilia costantemente le figlie ridotte a goffe insicure e tremanti figure) che dà da mangiare le sue dita, dal sapore ogni giorno diverso e attacca le stelle in cielo con l'aiuto di Mary e delle due timorose schiave delle sue figlie, a trovarsi in uno zoo alla rovescia dove gli animali sono liberi e gli uomini in gabbia. Mary Poppins è dotata di poteri magici e inverte le leggi della fisica e della chimica e di tutto ciò che è razionale: il mondo che ruota attorno a lei è magico, anche sei lei in modo brusco, conformemente al suo brutto temperamento, nega sempre ciò che è accaduto, lasciando continuamente i bambini nella confusione tra sogno e realtà. Forse è questo ciò a cui si riferiva quel luminare: il docente deve essere un orgoglioso scontroso incapace di stabilire realzioni, che umilia gli altri, ma ha poteri magici, che lo rendono "ganzo" e così tutto gli è permesso.
Insomma tutt'altro che un manuale di pedagogia, la Mary Poppins che esce dalla penna di P.L.Travers, è solo una collana di magiche avventure.
Poi la Walt Disney e la bravura di Julie Andrews (con l'aiuto di un ottimo Dick Van Dyke) hanno trasformato il personaggio nella baby sitter più amata dai bambini. Ma questa - come direbbe il barista di Irma la dolce - è un'altra storia.

Nota per gli studenti: fino a tutta la prima media e all'estate che la segue, poi si può provare a passare ad altro.

Oscar Testoni, agosto 2014

Stefano Benni, Margherita Dolcevita, Feltrinelli

Tra una battuta carina, una esilarante e una oscena, la penna tagliente di Benni, quando meno te lo aspetti, affonda a cogliere gli aspetti disumani e spersonalizzanti della nostra società dei consumi e delle auto felicitanti, poi quando tutta l'impalcatura di significati appare chiara, confonde tutto per non farlo sembrare un libro serio, ma solo una divertita storia strampalata. In questo testo Benni troppo spesso si lascia andare a volgarità, che rendono difficile una lettura ai più giovani o comunque nella scuola (ho visto Consigli di Classe sequestrati da genitori scandalizzati per molto meno delle parole e delle allusioni qui contenute). Tifiamo per la resistenza al seducente e devastante mondo dei Del Bene da parte di Margherita Dolcevita, del nonno (che per la sua resistenza è stato condannato al ricovero) e dei vecchiacci che hanno la finestra davanti alla strada sopraelevata, ma tengono duro ... Non c'è rumore o gas mefitico che tenga. mangiano uno di fronte all'altra. Oppure giocano a carte. Il mondo gli sfreccia vicino e loro non cambiano. L'arte è questa: scappare dalla normalità che ti vuole mangiare.

Nota per gli studenti: per i più grandi.

Oscar Testoni, agosto 2014

Paolo Rumitz, A piedi, Feltrinelli Kids

Perché si cammina? Quale senso ha oggi camminare, quando si può velocemente raggiungere posti lontani in poco tempo, con i mezzi moderni? Come si cammina? Perché la lentezza accorcia lo spazio anziché allargarlo? Perché camminare è un atto rivoluzionario verso un Potere economico che ci vuole sottomessi obbedienti e silenziosi acquirenti goffi e infelici di tanti oggetti inutili, rubandoci ciò che Dio ci ha dato gratis? Come fa il cammino a far scaturire l'incontro e addirittura il convivio? Una guida leggera e nello stesso tempo profonda sull'arte di camminare che ci aiuta a liberare il cuore dalla pesantezza della nostra vuota società dei consumi. Consigliato soprattutto ai bambini e ai ragazzi che non amano camminare.

Nota per gli studenti: dalla 5 elementare. Lo consiglio in particolare in Prima media. Ma soprattutto (essendo un libro per bambini, che fa bene anche ai grandi) lo consiglio come un momento di lettura insieme genitori e figli, in quell'attimo prima che l'adolescenza arrivi a segnare il gran rifiuto di farsi leggere dai genitori.

Oscar Testoni, settembre 2014

Judith Kerr, Quando Hitler rubò il coniglio rosa

- Credi che troveremo mai un posto che ci appartenga veramente? -
- Credo di no - disse il babbo. - Non potrà mai essere come per coloro che hanno trascorso tutta la loro vita nello stesso luogo. Ma sentiremo di appartenere un po' a tanti posti diversi, e mi pare che anche questo sia altrettanto bello -.

E' la storia, in parte autobiografica e in parte romanzata, di una famiglia che si trova costretta a lasciare la Germania, mentre Hitler sale al potere. La storia politica del tempo è filtrata in controluce attraverso la quotidianità di una famiglia abbiente che ha dovuto lasciare tutto a Berlino ed è costretta a rincominciare da capo con i pochi oggetti e vestiti che è riuscita a portarsi dietro, prima a Zurigo, poi a Parigi e infine a Londra, tra accoglienze e ostilità. Tale quotidianità è inoltre letta col punto di vista della più piccola della famiglia, Anna (narratore esterno, ma focalizzazione interna). La storia rimane dunque sullo sfondo di vicende più domestiche. La scrittura è semplice, la narrazione facile, anche se non sempre riesce a tenere alta la tensione verso il proseguimento della lettura. La traduzione dell'edizione Sansoni 1978, che ho letto, contiene errori come "gli" per intendere "a loro". Ah, la famiglia protagonista è ebrea! Non che la cosa importi molto in sé, ma in quel momento in Europa purtroppo poteva fare la differenza tra rimanere e fuggire, sopravvivere o morire.

Nota per gli studenti: il contesto storico renderebbe utile la sua collocazione in terza media, ma la facilità di lettura e l'assenza di temi impegnati ne permettono l'acceso ai ragazzi già dalla prima media o per quei bambini che divorano i libri anche dalla 5 elementare.

Oscar Testoni, settembre 2014

Michele Serra, Gli sdraiati

Mi sembra di ricordare di averlo letto nel marzo 2014. La lettura scorre veloce. Il testo in parte mi ha divertito e in parte mi ha deluso. Soprattutto ho trovato piuttosto contradditorio mostrare per quasi tutto il libro il fallimento di una educazione senza punti fermi e valori di riferimento forti e infine criticare come castranti, psichiatrici e peggio proprio quei punti di riferimento la cui mancanza ha causato il fallimento educativo. Il libro non ha lasciato tracce in me, a parte qualche frase divertente della prima parte.

Oscar Testoni, luglio 2015

Paolo Maurensig, Canone inverso

Letto in alcuni giorni di questo torrido luglio cittadino in cui l'asfalto vomita caldo fino a notte, il testo è sapientemente giocato sul mistero che infine travalica i confini del reale. Il testo ha fino a quattro livelli di narrazione interna: vi è infatti un punto a 2/3 esatti del libro (pag.100 su 150 nell'edizione di cui ho fruito) in cui Kuno narra in prima persona di suo zio Gustav (narratore di quarto livello), ma questa narrazione si trova dentro il racconto della propria vita, anch'esso in prima persona, che Jeno (narratore di terzo livello) fa al dilettante violoncellista, racconto a sua volta contenuto in quello che quest'ultimo (narratore di secondo livello) fa anch'egli in prima persona dei suoi incontri con Jeno al nuovo proprietario del violino che è il narratore (anch'esso interno) di primo livello che apre e chiude la narrazione principale. Questa complicata struttura (forse Maurensing ama le matrioske russe) risulta piuttosto barocca e mi ha infastidito per la sua artificiosa inutilità fino alla fine, quando nell'epilogo si rivela l'identità del narratore di primo livello (che ovviamente non vi svelo), mostrando il senso di questo articolato gioco di matrioske, che chiude proprio il circolo con la narrazione di quarto livello, come se la bambolina più piccola potesse a sua volta contenere la più grande. Non spiego meglio questo punto per non rivelare il mistero che fa da motore alla lettura di tutto il testo.
Il castello coi suoi misteriosi personaggi viventi, morti o presunti morti cede, con compiaciute tonalità goticheggianti, a quel bisogno di fantasy insito nella nostra contemporanea narrativa. Troppo facile la caricatura della scuola prigione, con insegnanti mediocri invidiosi del talento, che si odiano ed odiano i propri studenti: luogo comune tanto più lontano dalla realtà quanto più vicino al sentire collettivo fino ad essere diventato quasi un archetipo antropologico. Chi non ha, nei suoi racconti da bar (o da blog che ormai ne è il sostituto), storielle in cui tutti i professori sono (senza o con rare eccezioni che confermano la regola) impreparati e maligni persecutori del genere umano? Io sono l'unica creatura terrestre che è stato contento dei propri... e pensare che ho percorso i miei gradi scolastici proprio nei periodi più sospetti, cioè dopo le infornate senza selezione degli anni '60 e '70.
E' veramente artificioso e poco credibile che il narratore di primo livello ascolti un racconto di 140 pagine così particolareggiato e che quello di secondo livello ne ascolti uno appena un po' meno lungo su un tavolino di un locale in cui il narratore di terzo livello si sofferma, senza arrivare al dunque, sulla descrizione di ogni personaggio, di ogni ambiente, di ogni stato d'animo. Ma giunti alla fine, quando si possiede la chiave di lettura e il quadro si ricompone e si prova la gioia dello sguardo d'insieme, tutto viene perdonato all'autore.
I temi sono la musica, il talento e la tecnica (un po' forzata a mio avviso la retorica di questa antitesi), l'immortalità, la ricerca delle proprie origini, ma nessuno di questi è realmente sostanza quanto il racconto stesso e il suo mistero. Il periodo storico è quello che dal Congresso di Parigi, che sancisce la fine della Grande Guerra, va alla fine della Seconda Guerra mondiale e da qui con un balzo al 1985. Lontani, ma influenti sulla storia, gli echi nazisti e della Shoah.
Ah dimenticavo o meglio davo per scontato: il filo conduttore è la storia di un violino!
Attenzione a non confondere il libro con il film di Tognazzi, che pur ispirandosi al libro, ne stravolge la trama!

Nota per gli studenti: dalla terza media.

Oscar Testoni, 29 luglio 2015

Fedor Dostoevskij, Le notti bianche. Romanzo sentimentale. (Dai ricordi di un sognatore)

Un intero minuto di felicità! E' forse poco sia pure in tutta la vita di un uomo?
E rieccomi dopo tre anni di pausa di nuovo con un Dostoevskij. Questa volta d'estate (anche perché quest'inverno non mi hanno lasciato il tempo di leggere. Ahimè!)
Il protagonista diventa prezioso e attento amico di una donna innamorata. Ovviamente di un altro. Vi è mai capitato? A me spesso.
Lui è così premuroso e disinteressato al bene di lei da apparire agli occhi di lei perfino migliore dell'uomo che ama, al punto da farle dire: - Perché lui non è voi? Perché lui non è come voi? Egli è peggiore di voi, anche se io lo amo più di voi (Ovviamente si danno del "voi") -.
Uhm che rabbia! Situazione tipica! Deja vu terribile.
Ovviamente lui l'ama, ma non può fare altro che desiderare il bene di lei che ama l'altro.
La solitudine, la sofferenza, i dialoghi, la partecipazione della natura agli stati d'animo del protagonista sono ampiamente romantici.
Straordinarie le due virate che rappresentano che prefigurano un pre-finale e subito dopo un finale opposto, che non rivelo, ma - già preannuncio - non è holliwoodiano, almeno per il protagonista.
Il linguaggio e i dialoghi sono distanti dal nostro gusto contemporaneo. La traduzione della BUR di cui ho fruito mi pare vecchia e allontana ancora di più nel passsato questo romanzo, invece tematicamente ancora attuale.
Molto bella invece in quella edizione l'introduzione di Erica Klein, che ho letto alla fine e vi consiglio di leggere alla fine, per non influenzare la libertà della lettura. In particolare è interessante la contrapposizione tra il personaggio del sognatore, privo di una storia, da raccontare, e quello di Nàstenka, che da sognatrice, accoglie la possibilità di avere una storia, per quanto piccola e sofferente, una storia che rende concreta la sua vita.
Interessanti i rimandi alla biografia dell'autore nella sua lotta di liberazione dal vizio di sognare.
La vita è dappertutto,la vita è in noi stessi e non fuori di noi. Accanto a me ci saranno degli esseri umani ed essere uomo fra gli uomini, e restarlo per sempre, in nessuna sventura avvilirsi o perdersi d'animo, ecco in che cosa consiste la vita, ecco il suo compito ... scriveva Dostoevskij nel 1849, l'anno successivo a questo romnzo, prima di partire per i lavori forzati.

Nota per gli studenti: tenetelo per quando sarete adulti e a seconda del tipo di adulti che sarete.

Oscar Testoni, 23 agosto 2016

Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale.

Compagno io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un'altra volta qui dentro, non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima eri per me solo un'idea, una formula di concetti nel mio cervello che ha determinato questa risoluzione. Io ho pugnalato quella formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora ho pensato alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, compaagno! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani proprio come noi, ...
Queste e quelle che seguono sono le parole più famose di questo testo. Parole riportate sui libri di antologia delle scuole secondarie di primo grado. Ma il testo è più complesso di solo questo episodio.
Iniziato a leggere durante un fine settimana al mare tra fine giugno e inizio luglio 2016, per vedere se sarebbe stato adatto a una lettura integrale nella terza dell'anno successivo, è stato messo da parte al ritorno in città, preso dalle contingenze e venuta meno la motivazione iniziale: non avrei più avuto quella terza e non era adatto in quanto la descrizione dettagliata delle scene di guerra e degli effetti sui corpi umani avrebbe incontrato eccessivo favore presso alcuni alunni di quella classe dai gusti deviatamente macabri. Ripreso in agosto con l'odore di mucca nell'aria tra le pause dalle ascensioni, alcune delle quali in scenari della medesima guerra, seppure su un fronte diverso, è stato assaporato senza altri fini.
Innanzitutto parla di una generazione a cui la guerra ha troncato sul nascere sentimenti, sogni e aspettative, rendendola, qualora fosse sopravvissuta alla carneficina, incapace a riprendere una vita normale: ragazzi ridotti prematuramente a "gente vecchia". Significativo a tal proposito il soffermarsi sulla licenza del protagonista (Non sarei mai dovuto venire qui ... Ero un soldato, e ora sono solo un grumo di dolore), che lo fa sentire ancora più solo, perso, incompreso, incapace di provare ancora quei sentimenti e quella soddisfazione che provava in quei luoghi prima. Spiega bene come l'addestramento militare miri a privare di una personalità. Come la guerra annulli tutto lasciando solo gli istinti primordiali, quelli necessari alla sopravvivenza. Come diventi essenziale il cameratismo. E poi sì inevitabilmente, anche se non è l'obiettivo del libro, quanto sia inutile, insulsa crudeltà la guerra, le cui vittime sono tra chi non l'ha decisa.
Nonostante qualche errore (di cui uno corretto nel riportare qui una citazione), mi è piaciuta la traduzione nell'edizione Neri Pozza.

Nota per gli studenti: sconsigliato a chi si impressiona troppo davanti a scene raccapriccianti, ma anche a chi si diletta di teste mozzate, soldati che corrono sui moncherini dei piedi mozzati o tenendo tra le mani le viscere che escono da ventri squarciati. Consigliato agli altri, perché in tempo di pace (o di relativa pace), bisogna conoscere da testimoni diretti cosa sia la guerra ed Erich Maria Remarque, sebbene scriva in prima persona nei panni di un certo Paul Baumer, è realmente stato in quella guerra.

Oscar Testoni, 25 agosto 2016



www.oscartestoni.it
www.saratestoni.it
www.oscartext.com