Ivo, De gradibus caritatis

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Frater Ivo,
L'amore non ha mai fine. De gradibus caritatis
Introduzione, traduzione dal latino e note
a cura di Oscar Testoni
Febbraio 1995, Edizioni Qiqajon - Comunità di Bose
Collana: Padri occidentali
Pagine: 38

...«I' mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando»
.
Riconoscete queste parole?
E' la famosa definizione del Dolce stil novo.
O meglio sono le parole che Dante-poeta in Purgatorio XXIV, 52-54, mette in bocca a Dante-personaggio per definire il proprio operato poetico, mentre dialoga con Bonagiunta da Lucca, che di seguito poi pronucerà anche la famosa etichetta "dolce stil novo" («O frate, issa vegg' io», diss' elli, «il nodo / che 'l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch'io odo! ...).
Ebbene, pochi sanno che quelle parole di Dante sono la traduzione italiana e in versi di una frase del De gradibus caritatis di un monaco di area francese:

Solus proinde de ea digne loquitur qui secundum quod cor dictat interius exterius verba componit

Della carità dunque parla degnamente solo chi fuori compone le parole come il cuore gli detta dentro

Il De gradibus caritatis di Ivo, sconosciuto oggi, era dunque ben noto a Dante.
Con una prosa appassionata, ritmata e rimata, ricca di giochi di parole, parodossi, parallelismi, antitesi, annominazioni, figure etimologiche ed omofonie, una prosa che diviene in molti punti poesia, Ivo ci parla della carità-amore.
Nel primo capitolo parla della carità come forza insuperabile: niente e nessuno infatti le può resistere, se persino Dio, vinto dall'amore, muore in croce per gli uomini.
Nel secondo la carità è insaziabile. «La dolcezza di Dio conduce all'estasi, condizionee transitoria a cui segue la ricaduta e l'inevitabile languore d'amore, che è il tedio di un impaziente desiderio. Questo desiderio è insaziabile perché ha per oggetto Dio, che è infinito: il suo amore infatti riempie senza mai saziare».
Nel terzo capitolo l'amore vede incessantemente chi ama. In particolare l'anima ha due occhi: l'intelletto e l'amore e, pur essendo entrambi importanti, il secondo penetra là dove il primo si oscura, ferisce Dio, e giunge fino a vederlo, anche se non nella sua essenza.
Nel capitolo quattro l'amore è vista come una virtù unificante: unifica l'uomo con se steso, gli uomini tra di loro e l'uomo con Dio.

Oscar Testoni, 20 giugno 2002
rivisitato 02 agosto 2019

Sic vere Deum amans anima amore non satiatur quia Deus amor est, quem qui amat amorem amat. Amare autem amorem circulum facit, ut nullus sit finis amoris. E così davvero amando Dio
d'amore non si sazia l'anima
perché Dio è amore
e amarlo è amare l'amore.
Amare l'amore:
il cerchio si chiude
e l'amore non ha più fine (Ivo)
Ut autem hac unitiva virtute in unum concurrere possint affectus amantium, cor amantis a se liquefari necesse est, ut transfundi possit et transformari in illum quem amat et mutari in virum alterum, quemadmodum aquae stilla multo infusa vino deficere a se tota videtur dum alterius saporem induit et colorem.

Ma affinché gli affetti di coloro che si amano possano concorrere in unità grazie a questa virtù unitiva, è necessario che il cuore di colui che ama si liquefaccia sciogliendosi da sé in modo che possa essere riversato e trasformato in colui che ama e cambiato in un altro uomo, come una goccia d'acqua versata in molto vino si vede tutta venir meno da sé mentre assume un altro sapore e colore. (Ivo)



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