Heroides
Oscar Testoni

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Sono composte dopo il 15 a.C. Inizialmente vengono scritte le prime 15: sono immaginarie lettere d'amore in distici elegiaci indirizzate da figure mitologiche femminili (eroine -> heroides) ai loro mariti o amanti. Successivamente vengono aggiunte altre 6 lettere: tre di personaggi maschili (Paride, Leandro e Aconzio) indirizzate alle donne amate e le tre risposte (Elena, Ero, Cidippe).
Vi sono temi elegiaci (ad esempio il tema dell'abbandono o della lontananza dell'amato), alcuni aspetti o alcuni topoi della forma epistolare, ovvi richiami e allusioni all'epica greca e latina, influenze dalla tragedia di Euripide (approfondimento della psicologia femminile, forma patetica, teatralità), ma anche analogie con le suasoriae, esercitazioni scolastiche, discorsi fittizi, in voga nelle scuole di retorica in età augustea, rivolti a personaggi del mito o della storia, per persuaderli o dissuaderli a fare o non fare determinate azioni. Ovidio afferma nell'Ars amatoria III, 345-346 di aver creato un nuovo genere letterario, prima sconosciuto.
Pur trattandosi di un argomento già dato dalla mitologia, in cui quindi lo spazio dell'autore è limitato, Alessandro Barchiesi nota, soprattutto nelle lettere di Penelope, Briseide e Didone, che la spettacolare abilità del poeta ha qualcosa di chirurgico: sceglie il punto propizio, seziona e richiude senza lasciare traccia di sé (Narratività e convenzioni nelle "Heroides", in Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, XIX, 1987, p.66)

Epistula I
Penelope Ulixi


per un'analisi dettagliata
Il ben noto materiale narrativo è tratto dall'Odyssea. Penelope sa che Troia è già stata abbattuta, che i mariti rimasti vivi sono tornati dalle loro mogli e che anche il figlio Telemaco, partito per cercare notizie del padre a Pilo e a Sparta, è già tornato dal suo viaggio, senza riportare nulla di preciso: quindi Penelope scrive a Ulisse, senza sapere che il marito di cui lamenta l'assenza è già presente in incognito. La donna che si presenta con il topos della relicta racconta a Ulisse il suo amore fedele intriso di paure per la guerra, per i pericoli della terra e del mare o anche di qualche donna esotica, in confronto alla quale, lei forse apparirà rustica, la solitudine, il problema dei pretendenti, contro cui non hanno forze sufficienti.

Epistula II
Phyllis Demophoonti
La materia è tratta dagli Aitia di Callimaco. Demofoonte, figlio di Teseo, re di Atene, di ritorno dalla guerra di Troia, a causa di una tempesta naufraga sulla costa della Tracia. La figlia del re Licurgo, Fillide, lo accoglie e se ne innamora. Demofoonte, dopo averle promesso il matrimonio, decide di andare ad Atene, assicurandole di tornare entro un mese. Lei cerca, ingannandosi, di giustificare il ritardo, ma ora, comprendendo il suo stato di relicta, scrive all'amato i suoi progetti di morte
Forti sono i legami con l'epistola VII di Didone: l'ospitalità offerta in seguito a un naufragio dopo lungo peregrinare (tra l'altro entrambi provenienti da Troia, sebbene uno come vincitore e l'altro come vinto), l'innamoramento per l'ospite, la riparazione delle navi, i ricchi doni con l'offerta del regno, l'unione degli amanti, intesa dalla donna come legame coniugale, i funesti presagi che accompagnano l'unione, la morte come riscatto dell'onore offeso e infine il distico finale in cui le due donne compongono il loro stesso epitaffio.

Epistula III
Briseis Achilli
La ben nota vicenda è presa dall'Iliade. Briseide, figlia di Brise, in seguito alla conquista di Lirnesso, diventa schiava e amante di Achille. A causa della pestilenza scatenata dal dio Apollo, per lo sgarbato rifiuto di Agamennone di onorare la richiesta del sacerdote Crise, giunto con ricchi doni a riscattare la figlia Criseide, schiava e amante di Agamennone, quest'ultimo è costretto a restituirla, ma si scontra aspramente con Achille, a cui infine impone di consegnargli la sua schiava Briseide. Offeso Achille si ritira dalla guerra.

Epistula IV
Phaedra Hippolyto
La vicenda è tratta da dall'Ippolito di Euripide, o forse da un primo Ippolito (Ippolito velato) che Euripide rititò perché troppo scandaloso.
Fedra, moglie di Teseo, si innamora del figliastro Ippolito. Mentre in Euripide è la nutrice a rivelare a Ippolito il tormentato amore della matrigna, in Ovidio, la sua funzione è svolta dalla lettera stessa. Nella storia euripidea a noi giunta, Ippolito, inorridito fugge, Fedra si uccide per la vergogna, lasciando una lettera al marito con cui accusa il figliastro di avere tentato di sedurla. Teseo invoca sul figlio la maledizione di Posidone, che ne provoca la morte: Artemide, alla quale il giovane si era consacrato, rivela la verità. La tensione tragica in Ovidio scompare e la lettera è volta a indurre il giovane a contraccmabiarla.

Epistula V
Oenone Paridi
La vicenda, nota, ci riporta alle cause della mitica Guerra di Troia. Enone, una ninfa, si innamora di Paride, giovane trovato e allevato da un pastore sul Monte Ida e lo sposa. Né Paride sa di essere il figlio di Priamo, né Enone sa che egli lo sia. Entrambi lo scoprono quando Paride viene chiamato come giudice tra le tre belle litiganti dee: Giunone, Minerva e Venere, dalla quale riceve l'amore di Elena, la donna più bella, come ricompensa per essere stata scelta da Paride come la dea più bella. Scoperto di essere di sangue regale, Paride riprende il suo posto alla corte di Priamo e durante un viaggio a Sparta porta via con sé la moglie di Menealo, di cui è ospite, la bellissima Elena, cosa che sarà causa della Guerra di Troia.
Ovidio sfrutta la situazione per introdurre nell'elegia della donna abbandonata elementi bucolici (ninfe, pastori, satiri, Fauno, Apollo innamorato che pascola gli armenti, boschi, gregge, capanna Satiri, Fauno, ...), che appartengono al passato felice di Enone, in contrasto col presente di dolore. La situazione è colta da Ovidio in un momento in cui è ancora possibile per Paride tornare a sua moglie, così da tenere lontana la successiva situazione tragica e cogliere di Enone non sotto l'aspetto della moglie vendicatrice, bensì con quello della puella laesa, che si scaglia contro Elena la dira paelex, la turpis amica, che fugge con chiunque, adultera, infida. Non manca l'ironia di Ovidio nel sottolineare le contraddizioni di Enone, che in contrasto con Elena dipinge se stessa come pudica, ma, per dimostare al marito di essere ancora desiderabile, confessa di essere stata amata da Apollo.

Epistula VI
Hypsipyle Iasoni
Ipsipile, regina di Lemno, accoglie gli Argonauti in viaggio verso la Colchide (Costa sud-orientale del Mar Nero) e si innamora di Giasone, che riprende però il viaggio alla ricerca del vello d'oro. Nonostante le promesse, conclusa l'impresa non torna a Lemno, bensì in patria con Medea, figlia del re di Colchide, che l'ha aiutato. L'argomento è tratto dalle Argonautiche di Apollonio Rodio. In Ovidio la lettera di Ipsipile coglie il momento in cui la donna abbandonata (e qui il tema e il linguaggio elegiaco) ha già avuto due gemelli e dà all'unione un valore legalizzato dal matrimonio, prolungando la permanenza di Giasone a due anni.

Epistula VII
Dido Aeneae
La vicenda è già nota grazie a Virgilio, che trasforma il personaggio di Ellissa (al suo tempo eroina del pudor che per non tradire la propria promessa di fedeltà alle ceneri del defunto marito Sicheo e il proprio stato di vedovanza si suicida per non cadere nelle mani del pretendente Iarba, a cui i cartaginesi l'avevano consegnata e che già stava assediando la città) nella vittima di un furor d'amore per l'ospite Enea. Giunone infatti, che ha ancora in odio i Troiani, per la storia di quella mela d'oro assegnata da Paride (troiano) a Venere, oltretutto madre del troiano Enea, e per altri eventi (troiana è un altro degli amorazzi del suo infedele marito, troiano è il nuovo coppiere preferito al loro legittimo figlio, ...) e che ha preso a proteggere Didone e la sua Cartagine, che i fati daranno distrutta dalla futura potenza romana che discenderà da Enea, fa naufragare Enea, che si ritrova ospite di Didone. Venere da parte sua iperprotegge il figlio, facendo innamorare Didone di Enea, tramite Cupido, che ha momentanemanete preso i panni del piccolo Ascanio, figlio dell'illustre ospite: in questo modo, pensa Venere, verrà ospitato bene. Giunone allora, pensando di essere più furba di Venere, patteggia con la dea rivale un matrimonio tra i due, così da deviare il fato e salvare Cartagine. Ma con le lamentele di Iarba, offeso per il rifiuto di Didone che si concede al primo straniero arrivato, Giove scopre che Enea invece di andare a cercare il posto in cui porre le premesse della futura Roma, se ne sta a Cartagine a fare l'amante di Didone, manda Mercurio a richiamare Enea, che deve partire per compiere la sua missione. Didone si dispera e - Vrigilio recupera in extremis la tradizione punica del personaggio mitologico di Ellissa - per la vergogna del pudor violato si uccide.
Ovidio gareggia con Virgilio e inserisce la lettera dell'eroina nel momento della vicenda virgiliana in cui Didone tramite la mediazione della sorella Anna cerca di dissuadere Enea dalal partenza. Il ribaltamente elegiaco di Ovidio non è in questo caso del tutto nuovo, in quanto già il libro quarto dell'Eneide lascia molto spazio alle parole e ai pensieri di Didone e quindi al motivo sentimentale, erotico ed elegiaco. In ovidio, trattandosi di una lettera, scompare completamente l'elemento oggettivo del narratore, amplificando solo quello soggettivo. Inoltre la Didone ovidiana non sembra una donna che voglia uccidersi, ma che vuole semplicemente convincere Enea a rimanere.

Epistula VIII
Hermione Oresti
Ermione, di cui si accenna nell'Odyssea, è protagonista dell'Ermione di Sofocle ed è presente nell'Andromaca di Euripide.
La bellissima Ermione è figlia di Elena e Menelao, cresciuta senza madre, rapita, quando lei era ancora piccola, da Paride e senza padre, che per dieci anni ha combattuto a Troia per riprendersi la moglie e vendicare il torto. E' innamorata del cugino Oreste, figlio di Agamennone e di Clitemnestra. Clitemnestra, con l'amante Egisto, uccide il marito Agamennone , la cui morte verrà vendicata dal figlio che si riprenderà in questo modo il regno del padre. Ermione viene però destinata a Pirro, figlio di Achille, tornato a casa da Troia, con Andromaca insieme al bottino di guerra. Ermione chiede ad Oreste di passare all'azione come già il proprio padre Menealo per riprendersi la moglie rapita da Paride (parallelismi: Elena // Ermione - Menelao // Oreste - Paride // Pirro) e lamenta la sua inazione e come una mancanza d'attenzione nei suoi confronti, come già la madre assete per dicei anni (Oreste // Elena).

Epistula IX
Deianira Herculi
L'argomento è tratto dalle Trachinie di Sofocle. Dianira è moglie di Ercole, che si è innamorato di Iole, figlia del re d'Ecalia, da lui sconfitto. Per riconquistare il marito, gli invia una tunica bagnata del sangue del centauro Nesso, credendolo un filtro d'amore, ma in realtà quel sangue è un potente veleno, perché containato con il sangue dell'Idra, così quando Ercole indosserà quella tunica morirà tra atroci dolori. La stesura della lettera ovidiana è interrotta da due colpi di scena: l'arrivo di Iole in città e la notizia della morte del marito. Deianira conclude la lettera con i suoi propositi di morte.
La Deianira di Ovidio, orgogliosa, offesa e preoccupata per la propria reputazione, si discosta dal modello sofocleo della moglie dolce e desierosa di riconquisatre l'amore del marito. Anche la morte è nella prospettiva di di essere ricordata per sempre come uxor di Ercole.

Epistula X
Ariadna Theseo
Arianna è la figia di Minosse che, innamoratasi di Teseo, lo aiuta con l'idea del filo a ritrovare la strada per uscire dal labirinto dopo aver ucciso il Minotauro. Con Teseo fugge da Creta, ma fermatisi nel viaggio verso Atene su un'isola, lì viene abbandonata da Teseo, mentre dorme. Pur rifacendosi al carme LXIV di Catullo, in Ovidio Arianna diviene il paradigma della relicta fino all'assurdo.

Epistula XI
Canace Macareo
Canace è la figlia del re dei venti Eolo ed ha un amore incestuoso col fratello Macareo, da cui ha un figlio, che, scoperto dal nonno, viene abbandonato in pasto alle belve. Eolo invia una spada perché si uccida a Canace, che affida a una lettera al fratello le sue ultime volontà. Pochi frammenti ci restano di una tragedia di Euripide Eolo da cui probabilmente trae ispirazione Ovidio. La lettera è incentrata sul difficile rapporto col padre Eolo.

Epistula XII
Medea Iasoni
Medea segue Giasone nella sua impresa e lo aiuta a conquistare il vello d'oro con le sue arti magiche. Si posano e si stabiliscono a Corinto, ma Giasone decide in seguito di sposare Creusa. Medea abbandonata rinfaccia al marito con questa lettera ovidiana la sua ingratitudine.
Fonti: Medea di Euripide, Argonautiche di Apollonio Rodio, tragedie di Ennio e Accio, traduzione di Varrone Atacino delle Argonautiche
Ovidio, in contrasto con la sempre ovidiana lettera di Ipsipile, è la puella simplex, trascinata da un amore irresistibile, in pena per la vita di Giasone, da lui spinta a tradire il padre e abbandonare la patria (virginitas facta est peregrini praeda latronis) e trasformata in foemina nocens. Ben in contrasto questa immagine con quella attribuitale, sempre qui, da Ipsipile: quella di donna che irretisce Giasone con le sue magie. L'accusa principale di Medea è di ingratitudine. La lettera, pur senza abbandonare il tono elegiaco, culmina con la prefigurazione della morte di Creusa.

Epistula XIII
Laodamia Protesilao
Laodamia, nel mondo latino exemplum di amore coniugale, appena sposata, vede partire il marito per la guerra di Troia. Mentre è fermo in Aulide per i venti contrari, gli scrive questa lettera di dolore per la separazione, senza sapere che sarà definitiva (Protesilao sarà il primo tra i Greci a morire a Troia)

Epistula XIV
Hypermestra Lynceo
Ipermestra, in Orazio exemplum di amore e pietas, una delle cinquanta figlie di Danao, costrette a sposare i cinquanta cugini, figli del re Egitto, non obbedisce al padre che, contrario a questo matrimonio, convince le figlie a uccidere i mariti la prima notte di nozze. Per questo viene imprigionata e, condannata a morte, scrive al cugino Linceo da lei risparmiato.
Non c'è amore per il cugino che è stata costretta a sposare, ma uno scavo profondo nell'io di una natura dolce (femina sum et virgo, natura mitis et annis; non faciunt molles ad fera tela manus.): centrale è il motivo della pietas. La condanna a morte è una punizione troppo pesante e ingiusta che non può trovare giustificazione che in una persecuzione divina, probabilmente Giunone e da qui un ricco intreccio lessicale con il mito di Io, punita da Giunone.

Epistula XV
Sappho a Phaoni
Poetessa d'amore realmente esistita e non eroina mitologica, qui messa in risalto da Ovidio per rappresentare se stesso come poeta elegiaco, abbandonata da Faone, probabilmente solo un personaggio letterario, medita di gettarsi dalla rupe di Leucade.
Con questa lettera si chiude la prima stesura delle Heroides, prima dell'aggiunta delle altre 6 lettere tra tre personaggi maschili (Paride, Leandro e Aconzio) e le rispettive tre donne amate (Elena, Ero, Cidippe) che rispondono.


Epistula XVI
Paris Helenae
Promessagli da Venere per averla scelta come la più bella nella contesa con Giunone e Minerva scatenata con la sua mela d'oro da Discordia al banchetto nuziale di Peleo e Teti, Paride, giunto a Sparta, ospite di Menelao, cerca di sedurre Elena. Nel banchetto spia le nudità di Elena. Cerca di associare suo marito Menelao alla rusticitas dei costumi passati con la fedeltà coniugale (polemica con la politica moralizzatrice di Augusto?) e istigandola all'adulterio la invita a una liertà dalla morale (come nella società dell'epoca di Ovidio) facendo riferimenti mitologici, tra cui Leda, la madre stessa di Elena. D'altra parte la sua straordinaria bellezza non può rimanere senza conseguenze.
Il fuoco delle fiamme della passione assumono però anche la valenza delle fiamme della distruzione di Troia e il futuro luminoso a cui Paride invita Elena non può che contrastare con quello cupo della guerra che da questo adulterio deriverà.

Epistula XVII
Helena Paridi
Inizialmente matrona ... pudica che resiste alle richieste di Paride, pian piano lascia che si insinuino dubbi, incertezze e timori, che fanno intravvedere un possibile cedimento, con lo spostarsi dell'attenzione dal fatto in sé, alla rispettabilità da conservare e quindi a una possibile soluzione liberatoria in un rapimento che permetterebbe di salvare reputazione e scappatella (furta Veneris), ancora una volta rispecchiando la società del tempo di Ovidio.

Epistula XVIII
Leander Heroni
Il giovane Leandro attraversa tutte le sere a nuoto l'Ellesponto per andare a trovare l'amata Ero, che per guidarlo nel buio della notte accende la luce del faro. Ma, finita l'estate, iniziano le tempeste che impediscono per molti giorni l'incontro tra i due innamorati. In attesa che si plachi il mare in burrasca Leandro scrive a Ero. Storia di età ellenistica di fonte sconosciuta, ma che ha goduto di grande fortuna nei secoli. Ovidio sia negli Amores che nell'Ars amatoria inserisce Leandro tra gli esempi di abnegazione amorosa della militia amoris. Questa consapevoleza di dover fornire una prova d'amore è presente anche qui. Il mare è l'ostacolo che lo fiacca giorno dopo giorno, e il lumen della luna, del faro di Ero e del loro stesso amore è ciò che lo guida e che lo tiene in vita.

Epistula XIX
Hero Leandro
Ero, inquieta per la lunga attesa, oppone al coraggio di Leandro, la propria insicurezza: i pericoli del mare (per cui da una parte incita Leandro a sfidare il mare, dall'altra teme tra funesti presagi quei pericoli che lui deve affrontare), la propria inferiore condizione sociale, la necessità di tenere nascosto il loro amore ai genitori. Il dissidio interiore tra slanci e timori e l'insofferenza dell'attesa maggiore rispetto a quella dell'amato risiedono per Ovidio nella condizione stessa femminile che non ha altri svaghi e altre attività eccetto l'amore.

Epistula XX
Acontius Cydippae
Aconzio innamoratosi a prima vista di Cidippe, una fanciulla di Nasso, le strappa con l'inganno un giuramento di matrimonio nel tempio della dea Diana. Mentre ella si trova nel tempio di Diana, lui le fa rotolare tre i piedi una mela su cui è scritta una formula di giuramento che la impegnava a sposarlo. La ragazza legge ad alta voce la scritta sulla mela, rimanendo inconsapevolmente vincolata al giuramento. A Nasso viene promessa sposa dal padre a un altro, ma ogni volta che si avvicinano le rinviate nozze, cade malata. Il giovane le scrive per ricordarle il giuramento fatto, invotandola a non sfidare oltre la divinità. La fonte che Ovidio rielabora in modo personale è Callimaco (Aitia, III). Aconzio difendendo la validità del giuramento pur strappato con l'inganno a Cidippe, tentando in vari modi di indurla a un incontro (compreso lo stratagemma di dichiararsi degno di essere da lei frustato, cosa che richiede comunque che siano uno in oresenza delll'altro), la corteggia proclamando la propria passione, giustificando la propria audacia a causa della sua bellezza, proclamandosi servus amoris, ma anche exclusus amator in riferimento all'"altro" a cui è stata promessa.

Epistula XXI
Cydippe Acontio
Cidippe, caduta malata per la terza volta, scrive ad Aconzio negli intervlli di tempo concessale dalla malattia. Difende la propria autonomia, nega il valore di un giuramento estortole con un inganno, di cui si mostra sdegnata, e sembra troncare ogni speranza del giovane innamorato. Tuttavia l'oscuro senso di angoscia determinato dalla malattia insinua il dubbio di avere suscitato l'ira di Diana. Nel corso della lettera il rifiuto cede a poco a poco alla consapevolezza che solo lui può liberarla dalla malattia e incomincia a nascere una sorta di lusinga per il corteggiamento di Aconzio, finché in modo inconsueto sopraggiunge il responso dell'oracolo di Apollo favorevole alla sua unione con il giovane audace.

Oscar Testoni, ultima versione 03 settembre 2019


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